giovedì 6 maggio 2010

Scrittori esordienti, manoscritti, case editrici e sigarette.


Lavorando nel settore editoriale mi ritrovo spesso a frequentare (mio malgrado) le varie presentazioni e fiere del libro che vengono organizzate qua e là in giro per il Paese. Ora, non so voi, ma personalmente parlare in pubblico, davanti ad un microfono, con gli occhi puntati addosso, mi ha sempre un po' imbarazzato. Non posso farci niente, è una cosa che, mio malgrado, non faccio mai con vero piacere, ma anzi, se posso essere sincero, con un certo fastidio. Di persona sono per natura schivo, un po' burbero se vogliamo, e tendo ad innervosirmi facilmente se non fumo per troppo tempo (cosa che in queste fiere mi capita spesso).
Col tempo ho notato che le costanti che accomunano tutti gli eventi a cui prendo parte sono due: i due (minuscoli) bicchierini di whisky che butto giù in gran segreto prima di prendere la parola e lo scrittore in erba che mi si avvicina di soppiatto nella zona fumatori proprio un secondo prima di dar fuoco alla mia tanto attesa sigaretta.
Non che ci sia nulla di male nell'avvicinare sconosciuti di soppiatto, dargli una pacca sulla spalla e parlargli come si parla ad un vecchio compagno di classe ritrovato, è solo che preferisco starmene per conto mio.
«Ah, comunque anch'io scrivo. Ho qui con me il mio manoscritto... sì, insomma, è un noir molto profondo che utilizza il genere per parlare della società che ci circonda... sono 250 cartelle. Se volessi dargli un'occhiata...» e da chissà dove tira fuori una risma di fogli A4 e me la schiaffa direttamente in mano (una volta durante questa operazione mi è persino caduta l'ultima sigaretta in un tombino. Cos'ho provato? Odio!).
Ora, forse oggi non c'è nulla di male nell'importunare così un vecchio signore un po' burbero che vuole soltanto fumare la sua sigaretta in santa pace, ma forse sarebbe meglio seguire il classico iter e spedire i manoscritti direttamente alle case editrici no? Di solito questa è la mia obiezione standard quando qualcuno mi rifila in mano un romanzo da 250 cartelle di nonsobenecosa.
Ovviamente la risposta standard è: «Francamente non credo che gli editori leggano i manoscritti che arrivano per posta» e quindi incasso e porto a casa, e mi tocca pure leggere per davvero il manoscritto, perché per esperienza so che nella maggior parte dei casi questo è assolutamente vero.
L'iter classico di un manoscritto spedito volontariamente che giunge in una qualsiasi delle redazioni con cui collaboro o con cui ho collaborato è il seguente (ammesso che sia corredato di una buona sinossi e una convincente lettera di presentazione): si legge la prima pagina, se non ci sono errori grammaticali (caso raro) e il lavoro non sembra troppo schifoso (ancora più raro) si prosegue e si legge una pagina casuale pescata nel mezzo, e quindi, se il testo supera anche questa prova (cosa molto difficile), si legge il finale e, anche se discreto, nel 99 per 100 dei casi il manoscritto lo si cestina ugualmente (nel restante 1 per 100 viene dato in pasto a qualche giovane lettore sottopagato).
Insomma, per farla breve, questo post è rivolto agli scrittori esordienti, agli scrittori in erba con in mano qualche manoscritto da pubblicare, ma anche agli editori che, semmai dovessero passare da queste parti, invito a contribuire con un commento per far sì che io possa rispondere allo scrittore esordiente di turno: «Ci sono molti editori che leggono i manoscritti giunti per posta. Hai provato con la casa editrice Taldeitali?» e fumare così la mia sigaretta in santa pace.
Grazie infinite a tutti.
8A63TM3C8E8T

3 commenti:

L.B ha detto...

Mi chiedevo se fosse possibile collaborare con le case editrici proprio nel ruolo di "cavia": visto che gli inediti che arrivano sono così tanti, se esiste una figura incaricata di testare questi testi!

Blogolo Nel Buio ha detto...

Cara L.B., la figura che chiami ironicamente "cavia" è in realtà la figura del lettore. Si tratta generalmente del primo incarico che un futuro editor o consulente ha all'interno di una casa editrice (non tutti si affidano al lettore però). Generalmente è pagato piuttosto male e il lavoro che deve sbrigare non è per nulla facile e richiede ottime competenze (consiste nel leggere i manoscritti con attenzione e restituire in redazione una scheda molto molto dettagliata sull'opera). Il punto è che pagare dei lettori esterni per valutare il materiale inviato spontaneamente via posta di solito non è molto conveniente (con quei soldi gli editori preferiscono solitamente acquistare i diritti di un romanzo straniero che ha vendite più sicure) per cui si cestina tutto (tanto dicono che via posta non arrivi mai granché di buono). Se proprio hai voglia di cimentarti con questo mondo prova a costruirti professionalmente magari seguendo quei gruppi in internet che questa attività la svolgono gratuitamente, chissà...
Io ti consiglio loro http://www.iquindici.org/news.php
un saluto,
blogolonelbuio

Marco Freccero ha detto...

Da qualche parte avevo letto che Einaudi spendeva una bella cifra per pagare i propri lettori (50.000 Euro l'anno, ma non posso giurare che fosse quella l'ammontare esatto). Questo qualche anno fa (2/3, non ricordo), adesso non so se prosegue questa tradizione, o hanno preferito abbandonarla per spendere quei soldi in altro modo.

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