mercoledì 14 novembre 2012

Eduardo Savarese "Non passare per il sangue"



Iniziando “Non passare per il sangue” viene subito fuori una domanda (soprattutto se già si è letto qualcosa della collezione Sabot/Age): ma allora, questa collana, cos'è?
Vengono infatti meno un po' di convinzioni. I romanzi precedentemente pubblicati si muovevano tutti in un sentiero ben tracciato, noir, pulp, hard boiled. Tutti genere tra loro affini e correlati. Questo di Eduardo Savarese invece esula completamente da ognuno di questi generi.
Eppure non si ha il tempo di rimanere stupiti né tantomeno perplessi che si è subito catapultati nella storia.
Il romanzo tratta un tema difficile, complesso, come è l'amore tra due uomini, due ragazzi, Luca e Marcello. Il che viene reso anche più difficile dallo scontro tra due mondi e due generazioni così inconciliabili, quella di Luca e di Agar. Saranno loro tre a dare forma a questo racconto.
I due ragazzi si conoscono nell'esercito, del quale entrambi fanno parte. Insieme partono per l'Afghanistan per partecipare a quella missione. Durante un pattugliamento con altri soldati stranieri, cui volontariamente aveva voluto partecipare, Marcello viene rapito e poi ucciso. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. Il dolore è troppo forte da sopportare per Luca che viene rimandato in Italia e a cui viene affidato il compito di riconsegnare alla famiglia di Marcello la valigia dell'ufficiale con gli effetti personali.
Così il giovane si reca a Vico Equense dove incontro Agar, la yayà – nonna – di Marcello, donna mai vista ma conosciuta attraverso i racconti del suo amante.
E' con lei che Luca ripercorrerà il ricordo e il racconto di Marcello.
Gli oggetti contenuti nella valigetta saranno solo la scusa per Agar di raccontare il suo Marcello. Per Luca di ascoltare cose che a volte suonano nuove alle suo orecchie, altre invece conosciute sotto punti di vista diversi. Per lui inizia una guerra aperta contro quella nonna che ha sempre capito dell'omosessualità del suo unico nipote, osteggiandola, perché non concepibile per lei “non passare per il sangue”. Per lei che, nonostante fosse cresciuta con un solo polmone, aveva lottato per avere dei figli. Per “passare per il sangue”.
Eppure quegli scontri aprono una breccia nelle barriere di quella anziana donna che, dopo l'ennesimo litigio con Sofia, la mamma di Marcello, tenuta all'oscuro della presenza di Luca a Vico Equense, si è rifugiata nella sua Creta. E' qui che Agar riprende in mano un cofanetto in cui tiene tutte le lettere scambiate con Antonio. Antonio era il marito della donna, conosciuto proprio a Creta dove lui, medico ufficiale del Regio Esercito, era andato durante l'occupazione nazifascista dell'isola. Immediatamente la yayà sente la necessità di condividere quelle lettere, tenute nascoste a tutti, proprio con Luca. E non dovrà attendere molto per incontrare il ragazzo. Il giovane ufficiale infatti, ritornato in Afghanistan, si trova coinvolto in un agguato talebano, durante il quale mostra esitazione nell'uccidere un nemico. La cosa gli costa il congedo forzato e il nuovo rientro in Italia. Di lì il passo verso Agar (e in questo modo verso Marcello) è breve.
Ancora una volta Agar e Luca si ritrovano assieme. Ancora una volta ricomincia il loro scontro. Ma Agar non è più quella di qualche mese prima a Vico Equense. In lei qualcosa sta cambiando. La sua strafottenza lascia il posto alla malinconia. I racconti sulla sua vita, le sue sofferenze, si fanno dolorosi. Tutto riemerge. E sarà in qualche modo Luca ad aiutarla. «”Non ho mai amato nessuno come Marcello. E credo che non sarà facile innamorarmi ancora così. Ma devo metterlo da parte. E la cosa incredibile è che lui mi sta aiutando, mi sta proprio mettendo le molliche sulla strada, come è successo a Pollicino”. Prende dalla tasca il biglietto con il cellulare di Michalis. “Metti da parte anche tu i tuoi morti, yayà”».
Così prima di salutarsi i due si recano al monastero di Faneromeni. Lì Agar fa leggere a Luca una lettera, l'ultima che scrisse ad Antonio. Una lettera che contraddice molto quel “passare per il sangue” che lei stessa si era trovata a predicare.
Così i due insieme strappano quella lettera, mettendo da parte tutte quelle morti, insieme alle differenze, le incomprensioni, gli scontri, le accuse. I due mondi così distanti di Agar e Luca si riscoprono più vicini che mai.

lunedì 5 novembre 2012

Colomba Rossi e la collana Sabot/Age (Edizioni e/o)

Dopo aver parlato la volta scorsa di Una brutta storia, romanzo d'esordio di Piergiorgio Pulixi (E/O), ho pensato bene questa volta di intervistare direttamente Colomba Rossi, per farci dire qualcosa di più sulla collana Sabot/Age da lei diretta (e curata da Massimo Carlotto). 


Ciao Colomba e grazie per il tempo che stai concedendo a Blogolo. Per prima cosa vorrei chiederti di parlarmi un po’ di Sabot/Age, come è nata l’idea e come hai convinto E/O a investire in una direzione per alcuni versi inusuale rispetto al suo catalogo (con alcune eccezioni, ovviamente).

Le edizioni E/O si sono sempre distinte per una spiccata curiosità nei confronti del "nuovo" e hanno aderito immediatamente alla nostra proposta di una collana di contenuti e non di genere che è stata la suggestione di fondo che ci ha portato a sviluppare il progetto.

Come mai la scelta di estendere la linea editoriale anche al genere pulp, un genere forse un po’ di nicchia, almeno rispetto al classico noir? 

A noi interessano la qualità della scrittura e le storie, soprattutto quelle frutto di un'inchiesta o negate o poco raccontate e volutamente facciamo poca attenzione al genere. Matteo Strukul ci ha proposto un romanzo che raccontava finalmente la mafia cinese in veneto, argomento scomparso da molti anni dalle pagine dei giornali. Ci è piaciuto molto il personaggio e abbiamo colto in Strukul delle grandi potenzialità sulla serialità di Mila. Rispetto al pulp, siamo contenti che ci sia un nostro autore che investa le sue energie a farlo tornare in auge con tanta passione e bravura.

Finora sono stati sfornati romanzi di altissima qualità, come avviene la selezione? Chi se ne occupa? Dove ricercate gli autori? 
Alcuni autori hanno scelto di scrivere appositamente per la collana come Roberto Riccardi (il 24 ottobre uscirà il suo Undercover). Altri li abbiamo conosciuti attraverso i manoscritti. La selezione avviene attraverso la lettura delle sinossi per capire se la trama rientra nei confini di Sabot/Age e poi se ci convince attraverso
alcune letture incrociate. Ogni romanzo pubblicato è frutto di lunghi dibattiti e riflessioni.

Lavorate anche con agenzie letterarie? Valutate manoscritti inviati spontaneamente?

Anche. Abbiamo buoni rapporti con diverse agenzie e non riusciamo a resiste alla tentazione di dare un'occhiata alle sinossi che accompagnano i manoscritti. 

Come stanno andando critica e vendite e cosa ne pensi della concorrenza dei libri a 9.90? 
Noi abbiamo deciso di seguire una strada tracciata da tempo dalle Edizioni e/o e a quella ci atteniamo anche in fatto valutazioni sui prezzi di copertina. Noi non viviamo i libri a 9,90 come concorrenti. La nostra è una proposta precisa e critica e vendite ci stanno incoraggiando a proseguire.
Ti va di parlarmi un po’ delle prossime uscite e del titolo che ti ha dato fino ad ora maggiori soddisfazioni? 

Di Undercover ho già detto qualcosa ma voglio aggiungere che si tratta di un romanzo ambientato tra Calabria e Colombia e che racconta la straordinaria esperienza di un agente che opera sotto copertura con impressionante realismo. Non passare per il sangue è un romanzo letterario, completamente fuori dal genere, finalista e segnalato dalla giuria al Premio Calvino 2010. Scritto su più livelli narrativi, è una storia di memoria, sentimenti, differenze e contrasti culturali.

martedì 18 settembre 2012

Recensione di Una brutta storia (di Piergiorgio Pulixi)



Roba davvero forte “Una brutta storia”. Se il buongiorno si vede dal mattino, quello di Piergiorgio Pulixi è un nome che dovremmo tener d’occhio con grande attenzione ancora per diverso tempo.
La collana Sabot/Age, curata da Massimo Carlotto e Colomba Rossi, ci ha abituato ad opere di assoluto valore. Tuttavia, almeno per chi scrive, questo libro è in assoluto il migliore tra quelli pubblicati finora.
Un noir di grande spessore che non rinuncia alla mescolanza con altri generi, in primis hard boiled e pulp. Siamo in una grande città del nord. Una banda di poliziotti, guidata da Biagio Mazzeo, controlla il traffico di droga e tutto quello che gli ruota attorno. Per farlo utilizzano il ricatto e, quando serve, l’omicidio. Ma anche e soprattutto le loro divise. La gran parte del branco fa capo infatti alla sezione narcotici, guidata proprio da Mazzeo. Durante una rapina ad un supermercato un ceceno viene ucciso da un ragazzino nigeriano. La vittima è Goran Ivankov, fratello di Sergej Ivankov, il più importante boss della mafia cecena che giura vendetta. Trova i mandanti della rapina in Biagio e la sua banda e, ritenendoli responsabili della morte del fratello, scatena contro di loro una guerra feroce e crudele. Una guerra senza esclusione di colpi cui il branco di poliziotti, alle prese con il colpo che dovrebbe cambiare per sempre le loro vite, non si tira indietro, rispondendo senza pietà colpo su colpo. Nel mezzo di questa lotta c’è però anche l’amicizia e l’amore, l’unica cosa che può rendere debole un uomo e portarlo alla morte.
Uno dei due contendenti alla fine ne esce vincitore. Ma vincere una battaglia come sempre non significa aver vinto la guerra. Così è un nuovo omicidio a riaprire la partita contro un nuovo nemico.
Un romanzo di oltre 400 pagine, con una trama fitta, coerente e scorrevole. Un modo di scrivere che pare ispirarsi più ai maestri del genere d’oltreoceano (Landsdale, Ellroy, Don Winsolow), soprattutto nella parte iniziale quando i personaggi vengono presentati, rispetto ai riferimenti letterari in stile mediterraneo.
Tre anni ci sono voluti per scriverlo questo libro. Molto meno dovremmo aspettare per il sequal. Pulixi infatti è già al lavoro. Il nuovo romanzo sarà con ogni probabilità in libreria nel 2013.

mercoledì 1 agosto 2012

Libreriamo intervista Blogolo nel Buio

Di recente ho scambiato due chiacchiere con gli amici di Libreriamo.itNel ringraziarli per la curiosità mostrata verso Blogolo vi ripropongo qui parte dell'intervista (che potrete leggere per intero sul loro portale). Abbiamo parlato di editoria, del Klit, di SugarPulp e di un paio di altre cose.

Il blog letterario Blogolo nel Buio parla di sé, del suo lavoro e della situazione dell’editoria italiana, proponendo le sue soluzioni per superare la crisi
 
Per diffondere l’amore per la cultura e la lettura è fondamentale creare un incontro, un contatto e un confronto tra le persone intorno al libro. È quanto afferma Blogolo nel Buio, blog letterario geloso dell’anonimato dei suoi redattori, che parla di sé in un’intervista in cui racconta della sua attività e dei problemi che affliggono l’editoria italiana.
 
Come nasce Blogolo? Quali sono i suoi obiettivi, i suoi interessi, e in cosa consiste la sua attività?
 
Le idee di base sono diverse: fare da ponte tra autori e case editrici; regalare un po' di informazioni e curiosità utili a chi vorrebbe fare dell'editoria, in un modo o nell'altro, il proprio lavoro; ingannare il tempo; combattere la noia; non pensare alla morte.  Scrivo quando ho tempo, voglia e la salute me lo permette (ultimamente non sono stato granché bene), o quando c'è qualcosa di assolutamente importante da dire (evento straordinario che capita di rado). Detto questo, grazie all'aiuto di alcuni consulenti e lettori professionisti (molti dei quali lavorano presso importanti editori, altri invece presso editori seri) ho creato un comitato di lettura testi inediti che porterà a breve alla pubblicazione di un paio titoli interessanti (titoli che sapranno parlare da sé, senza l'aiuto di Blogolo). 
 
Perché Blogolo sceglie l’anonimato dei suoi redattori?
 
L'anonimato è una componente essenziale del blog per diverse ragioni. Per prima cosa in questo modo riesco ogni volta a strutturare un confronto aperto e alla pari con gli amici, anche quelli più timidi, che mi seguono evitando il disagio che a volte i palazzi dell'editoria creano. Tramite l'anonimato, inoltre, è possibile mettere al centro i contenuti del blog eliminando tutta una serie di preconcetti, permettendo così confronti più aperti e "veri". C'è da aggiungere che si tratta anche di una piccola provocazione che vorrebbe evidenziare come, in una società basata sull'apparenza, si possa comunque costruire qualcosa senza apparire, senza essere assolutamente il centro di questo qualcosa. Direi infine che si tratta anche di un modo come un altro per tenere a bada il mio ego, un piccolo esercizio di meditazione zen.
 
Secondo i dati ISTAT, in Italia si legge poco rispetto agli altri Paesi europei: secondo Blogolo da dove deriva questo problema? Quali strategie potrebbero aiutare a promuovere una cultura del libro in Italia?

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mercoledì 25 luglio 2012

Blogolo consiglia Massimo Carlotto: Respiro Corto

Se qualcuno volesse capire i cambiamenti del nostro tempo, in campo criminale e, di conseguenza, politico ed economico, avremmo pronta una lista di romanzi noir da leggere.
Tra questi va di certo incluso l’ultimo libro di Massimo Carlotto, Respiro Corto (Einaudi, pp. 201, 17 €). 
Carlotto con questo romanzo si tuffa alla scoperta di un nuovo mondo criminale, meno attaccato al territorio, più al mondo finanziario. Quattro giovani brillanti e laureati di diverse nazionalità si conoscono alla facoltà di economia di Leeds e da lì danno inizio al loro progetto criminale. Una criminalità senza più frontiere né singoli mercati. Narcotraffico, scorie radioattive, traffico di organi, corruzione politica e alta finanza, sono le attività di quelli che all’apparenza potrebbero sembrare dei giovani perbene con il pallino del successo e dei soldi, come tanti ce ne sono. Ma dietro alle apparenze – e alle attività legali – si nasconde il volto di chi non si fa scrupoli pur di raggiungere il vertice del mondo del crimine. Marsiglia fa da porto e da porta per questi progetti.
Detto ciò però va anche ammesso che, probabilmente, questo non è il libro di Massimo Carlotto meglio riuscito.
Per chi è abituato alla sua opera, nell’arrivare alla fine di “Respiro Corto” si avverte la mancanza di qualcosa. Ad iniziare dai personaggi. E’ vero che per la prima volta Carlotto ha cambiato il suo modo di raccontare, abbandonando i suoi antieroi romantici come l’Alligatore o Pellegrini, per lanciarsi in un romanzo a più voci. Però è proprio agli stessi personaggi che sembra mancare qualcosa. Sono poco caratterizzati e alla fine non lasciano nulla di loro, nel bene e nel male. Anche molti dei traffici trattati avrebbero potuto avere uno sviluppo maggiore. Forse per le attività criminali raccontate sarebbero servite molto più delle 200 pagine di cui il libro è composto. Sul traffico dei rifiuti ormai inizia ad esserci una letteratura molto completa (anche se in forma di dossier e non di romanzi); sul traffico di organi è invece decisamente illuminante “Morte in lista d’attesa” di Veit Heinichen (Edizioni e/o).
Nonostante questo non possiamo che consigliare la lettura di “Respiro Corto” che resta senza dubbio un’opera prima per l’apertura ai nuovi orizzonti della criminalità transnazionale.

martedì 26 giugno 2012

Blogolo consiglia: Élmer Mendoza, Il Cartello del Pacifico (La Nuova Frontiera)

Che negli ultimi tempi il noir, da genere narrativo da molti ritenuto secondario, si sia imposto invece come elemento centrale e immancabile della letteratura, è sotto gli occhi di molti. Un ritrovato interesse dettato anche, e forse soprattutto, dal fatto che sempre più dietro e dentro uno di questi romanzi è possibile rintracciare quelle inchieste, quegli approfondimenti, quei dossier, che una volta erano appannaggio del giornalismo ma che, negli ultimi anni, sempre meno – senza volerne qui indagare i motivi – trovano spazio nella stampa.
Non stupisce quindi che all’interno del vasto mondo del noir stiano emergendo delle aree specifiche. Prima fra tutti, per portata, rapporti tra criminalità e politica, economia illegale ed economia reale, quella del narcos-noir.
Ed è a questo genere (definirlo sottogenere sarebbe offensivo per la qualità delle opere) che appartiene “Il cartello del Pacifico”, ultimo romanzo di Élmer Mendoza, pubblicato in Italia dalla casa editrice “la Nuova frontiera”.
Come il precedente “Proiettili d’argento”, il protagonista del romanzo è Edgar “El Zurdo” Mendieta, mentre lo sfondo è sempre lo stesso: la guerra che si combatte ogni giorno nelle strade del Messico tra i cartelli del narcotraffico e il governo. Una guerra più di parole che di intenti reali, in un paese dove la corruzione è all’ordine del giorno e arriva fino ai vertici della gerarchia sociale. Lo scoprirà il macino (El Zurdo) Mendieta, quando proverà ad indagare sulla morte di Mayra, ballerina di un club, che il detective aveva conosciuto – e di cui si era innamorato – qualche tempo prima. I sospettati sono uomini facoltosi, chi pronto per un’ascesa politica, chi per quella criminale. L’assassinio di Mayra, in tal senso, serve a tessere un filo conduttore fra questi due mondi che, mai come in Messico, sembrano così intricati da rendersi indistinguibili.
Un romanzo che Blogolo consiglia per una serie di motivi: per capire cosa stia succedendo in Messico dove, dal 2006 ad oggi, circa 60mila persone sono state assassinate nella guerra tra Cartelli del narcotraffico; perché Mendieta è un protagonista complesso, costruito con grande sapienza, quasi da rendere deludente il pensiero che sia solo opera della fantasia dello scrittore; perché ci sentiamo di sottolineare quanto detto da Giancarlo De Cataldo sul Corriere della Sera, frase riportata in quarta di copertina: «Mendoza resta. Resta perché, oltre a raccontare la crisi della sua democrazia, lo fa con una scrittura nervosa, suggestiva, essenziale, nei tratti migliore spietata».
Due ultime menzioni. La prima è per “la Nuova frontiera”, casa editrice che fonda buona parte della sua missione editoriale sulla letteratura sudamericana e chicana, offrendo al mercato italiano opere di valore assoluto.
La seconda menzione – che in buona parte riguarda la stessa casa editrice – va al traduttore de “Il cartello del Pacifico”, Pino Cacucci. Spesso in fase di traduzione un romanzo perde qualcosa, se non dal punto di vista della scrittura, quanto meno da quello dell’immaginario. Da questo punto di vista Cacucci, grande conoscitore del Messico, riesce a restituire alla scrittura, anche dopo la traduzione, quei colori e sapori che i romanzi possiedono.


mercoledì 6 giugno 2012

Blogolo e Giulio Laurenti : due chiacchiere su Suerte (Einaudi Stile Libero) , Ilan Fernandez e DePutaMadre

Questa volta ho intervistato Giulio Laurenti, per parlarci un po' del suo romanzo Suerte (Einaudi Stile Libero), libro vivamente consigliato. Vi lascio subito all'intervista! 

“Suerte” non è una storia di redenzione, piuttosto si tratta di una resurrezione. Prendiamo in prestito le parole del libro per introdurre il romanzo. “Suerte” è la vita, anzi, varrebbe la pena dire le vite, di Ilan Fernandez. Ripercorre la parabola di quello che a soli vent’anni era arrivato a essere il maggiore narcotrafficante d’Europa. Quello che in Sud America era forse il ben più noto Pablo Escobar, Ilan lo era per il vecchio continente. Un’ascesa che ha inizio subito dopo l’infanzia e che si conclude con uno spettacolare arresto a Barcellona. Poi il carcere. E infine la resurrezione. La moda. Il marchio “DePutaMadre”. Un presente da stilista. Il tutto raccontato con uno stile narrativo impeccabile, capace di tenere il lettore attaccato al libro dall’inizio alla fine. Un libro biografico. Ma se non fosse stato esplicitamente ammesso, in molti avrebbero potuto credere di trovarsi davanti ad un’opera di fantasia, tali sono gli eccessi e i fatti narrati. Di questo parliamo con l’autore, Giulio Laurenti. 

Giulio, innanzitutto da dove nasce l’idea di questo libro? 

L’idea è nata da Ilan. Stava trattando con un produttore cinematografico americano e si era inventato lì per lì che uno scrittore stava già scrivendo la sua vita…. e quello ero io. 

Come è stato l’approccio con Ilan Fernandez e come è stato scrivere la sua biografia?

Con Ilan c’è stato subito un rapporto di pancia… mi sono calato per nove mesi dentro di lui… per quello che era possibile… e ho scritto. Nove mesi dove mi sono sentito spossessato della mia interiorità e occupato da ciò che percepivo di lui.

Una cosa che colpisce è come le strategie e le tecniche che Pablo applicava al narcotraffico, nella sua seconda vita, Ilan Fernandez le applichi al mondo della moda. Dal controllo del territorio fino alle risposte che venivano dal mercato. 

Suerte racconta soprattutto i meccanismi del mercato, il perseguimento del profitto. In Germania il libro è stato addirittura recensito da un giornale economico come manuale per manager.

 Più volte nel racconto si intuisce come i narcos e il narcotraffico siano parte del sistema economico. Dagli occhi chiusi dei Governi, alle banche che cercavano i soldi che questi possedevano, fino agli avvocati che in un certo senso “riciclavano” il loro denaro. 

Quando presento in giro “Suerte” capita spesso che qualcuno si alzi a spiegare come il protagonista del romanzo sia un cattivo esempio. Ma la letteratura non racconta esempi, mostra psicologie e meccanismi sociali. Ilan, nel libro, svela come il crimine sia solo parte del problema, la parte più consistente del quale è il mondo della finanza. Il bisogno di accumulare ricchezza nel modo più veloce possibile. 

Pablo, Ilan Fernandez, era un narcotrafficante atipico. Come racconta lui stesso nel libro, governava uomini, non regni, e la mobilità era una sua caratteristica irrinunciabile. Sta qui il segreto del suo successo come narcos? 

Può darsi. Il cupo successo di un giovanissimo narcos ha potuto realizzarsi grazie alla grande intelligenza del protagonista e nel suo sogno di fuga da un territorio violento. L’essere figlio inconsapevole della diaspora ebraica in un paese cattolico lo ha reso atipico. La rabbia di classe si trasformò in lui nel sogno di trovare una via di fuga e non nella smania di potere e dominio. Poi, pagato il suo debito con la legge, questa rabbia è scemata e si è trasformata in talento di stilista.

Un altro tratto che accomuna il protagonista nella sua doppia vita da narcos prima e stilista poi è il non riuscire a staccare la spina. A tal proposito c’è un capitolo nel libro che è emblematico. 

Lasciamo al lettore il piacere di scoprire quale è. Certamente un imprenditore della moda ha in comune con un giovanissimo narcos la smania di mettersi alla prova, di realizzare se stesso nel campo nel quale si trova ad operare. L’homo faber come i due volti di Giano. 

Nel libro ad un tratto si parla anche di paura. Di cosa ha paura un ex narcos? 

Una persona che cresce in un mondo violento, dove la morte è cosa di tutti i giorni, spesso ha paura solo dell’irrimediabilità dei fatti. Nel caso specifico di “suerte” che la vita precedente possa avere ricadute nella vita presente.

In tutto il corso del romanzo c’è una presenza costante, un filo conduttore fatto di saggezza popolare. Ci riferiamo a Nonno Jack. 

Sì, è la figura mitica che Ilan ha avuto effettivamente. Mi domandavo dove avesse trovato l’acume per non finire stritolato a soli 13 anni nel mattatoio colombiano e lui mi ha parlato di Nonno Jack. Le frasi del romanzo sono mie, ma lo spirito è di Nonno Jack o di Ilan, se si preferisce. 

Chiudiamo con una curiosità. Il film sulla vita di Ilan Fernandez si farà? 

Il libro è stato opzionato dalla Indiana Production e dovrebbe essere una produzione Italo-americana. Incrociamo le dita. 
 

lunedì 7 maggio 2012

Nuova intervista a Meridiano Zero

Oggi pubblico una nuova intervista a Meridiano Zero. In casa editrice ci sono state molte novità nell'ultimo periodo e Mariana Califano, dell'ufficio stampa, mi ha aiutato a capire i cambiamenti.

- Odoya ha deciso di acquisire Meridiano Zero. Come mai questa scelta? Che obiettivi vi siete prefissati?

Odoya Srl. ha deciso di acquisire Meridiano Zero perché ha rappresentato un esempio d’innovazione e scoperta, e ha contribuito a delineare le coordinate di alcuni generi che hanno trovato il favore del pubblico e della critica nel panorama editoriale italiano degli ultimi 14 anni. L’intenzione del nuovo direttore editoriale, Marco De Simoni, è quella di rinnovare il marchio, mantenendone però inalterato lo spirito e il coraggio che hanno mosso il fondatore e lo hanno spinto a scommettere su nomi come David Peace, Derek Raymond, David Ambrose, Huges Pagan, James Leee Burke, Christopher Brookmyre, David Masen, Jason Starr e René Frégny, tra gli altri.

- Cosa cambierà per i fan di Meridiano Zero? Rimarrete fedeli al "nero" o aprirete il catalogo anche ad altri generi?

Una nuova grafica accompagna le scelte editoriali, che forti di un catalogo ormai consolidato, muoveranno lo sguardo verso territori inesplorati, perché come scriveva George Bataille, “...Nelle zone selvagge ci si avventura senza carta geografica, né passaporto”. Perciò allargheremmo i nostri orizzonti verso nuovi mercati e nuovi territori: Latinoamerica e Spagna, Russia, Nordeuropa, Asia, Sudafrica, Oceania, conservando però l’approccio iniziale che ha dato voce ad anglofoni e francofoni.
Allo stesso modo vogliamo oltrepassare il confine che separa la narrativa di genere dalla narrativa letteraria. Ci sembra necessario fare un passo in avanti rispetto agli anni Novanta e al primo decennio del nuovo secolo, per trovare le coordinate narrative in grado  di raccontare il presente attraverso il passato e il futuro. Non solo noir, quindi, ma anche un’esplorazione a trecentosessanta gradi di narrazioni meticce, di ucronie, fantastico, what if, fantascienza e letteratura tout court.
Per questo ci proponiamo anche di riscoprire alcuni titoli spazzati via dalle mode narrative, classici di varia provenienza e autori destinati a diventare classici contemporanei. Infine, daremo spazio alle voci più interessanti e oblique del panorama letterario italiano. L’intenzione insomma è quella di costruire un catalogo eterogeneo, ma guidato da un file rouge che trovi nella qualità e nella passione per il nostro mestiere il suo epicentro.

- Come è composta la Redazione? Come lavorate?

Il nostro comitato editoriale è composto da Marco De Simoni (direttore editoriale), Caterina Ciccotti (caporedattore), Jadel Andreetto (editor), Marco Vicentini (editor) e Mariana Califano (ufficio stampa); mentre la redazione conta sul lavoro attento di Rossella Russo, Anna Scopano e Marianna Tosciri. L'impianto grafico è stato studiato e realizzato dal colettivo Meat e l'impaginazione e la grafica del testi è di Nicolas Campagnari. Inoltre contiamo sul supporto di Valerio Manieri per quanto riguarda l'amministrazione.

- Ci parli un po' della nuova veste grafica?

Il collettivo grafico MEAT (http://www.tastemeat.com/) ha pensato assieme a noi un progetto innovativo e raffinato in grado di fare del libro anche un oggetto da collezione. La nuova veste rispecchia lo spirito con cui Meridiano Zero affronterà la sfida editoriale che si trova di fronte. A cavallo tra classico e innovazione, rigore e un pizzico di follia il nuovo progetto intende richiamare l'attenzione di un pubblico ampio, presentando i romanzi in una veste del tutto originale e innovativa, legata a quella corrente di pensiero che considera il libro un oggetto oltre che un veicolo di contenuti. Le copertine saranno tutte realizzate su cartoncino opaco martellato. Le novità e i recuperi della narrativa contemporanea varieranno colore (nero, viola, rosso, arancione, ecc.), mentre le proposte legate ai classici della letteratura (come Le straordinarie avventure di julio Juarenito di Il'Ja Erenburg in uscita a fine giugno - inizio luglio) sono color cartoncino o tabacco. Il numero di serie del volume si trova sulla costa del libro, mentre il titolo è sbandato in diagonale sulla copertina e la quarta permette di avere qualche notizia sul contenuto e sull'autore. Con il nuovo progetto editoriale le pubblicazioni verranno numerate  a partire dal numero 1, che corrisponde al perturbante romanzo di Iain Banks, La fabrica delle vespe.

- Continuerete a dare spazio agli autori italiani esordienti?

Non abbiamo escluso questa possibilità, ma per il momento è rimandata, anche perché abbiamo ereditato una mole di testi e di proposte di autori italiani che piano piano stiamo valutando.

- Se sì, che modo avete scelto di muovervi per lo scouting?

Molto probabilmente, quando valuteremo la possibilità di ricominciare a pubblicare autori esordienti, utilizzeremo tutti i canali a disposizione.

- Ci parli un po' dei primi titoli che avete lanciato?

I primi due titoli, in uscita i primi di maggio, sono due riscoperte: La fabbrica delle vespe di Iain Banks e Il viaggio immobile di Jean Vautrin.

Meridiano Zero riscopre il romanzo culto di Iain Banks, capostipite di un’intera generazione di libri che hanno fatto dell’esplorazione degli abissi umani una cifra stilistica, del perturbante un imperativo poetico e dello scandaglio tra le limacciose acque dell’inconscio un’estetica. Molti scrittori hanno seguito le orme di Banks, ma in pochi sono riusciti a eguagliarne la potenza sotterranea e subliminale. Uscito nel 1984, il primo romanzo di Banks fece scalpore nel Regno Unito, suscitando scandalo e polemiche fino a scatenare una vera sollevazione di stampo puritano. I detrattori in realtà non si accorsero che in qualche modo parlava delle loro paure. Ben prima dell’effimera ondata pulp degli anni Novanta, Banks aveva messo in scena una memorabile creatura letteraria a metà strada tra orrore e ingenua meraviglia: Frank Cauldhame. Tradotto da Alessandra Di Luzio e pubblicato per la prima volta 1996 da Phoenix/Fanucci  - per poi essere ristampato nel 2000 e nel 2001 -, The wasp factory  ha dimostrato di suscitare un interesse che non si attenua nonostante il passare degli anni. La nuova versione di Meridiano Zero, rivista dalla Di Luzio, è arricchita da una postfazione in cui la traduttrice riflette sulla narrativa di genere e sulla narrativa che si è occupata delle tematiche relative al genere nella letteratura inglese del secondo dopoguerra. Riflette anche sulle difficoltà della traduzione di un romanzo come questo, in cui il finale è in grado di gettare nuova luce su tutto quello che è stato narrato nelle pagine precedenti.
La seconda pubblicazione è la raccolta di racconti Un viaggio Immobile, di Jean Vautrin (pubblicato da Feltrinelli nel 1998 con il titolo originale Baby Boom). Tredici racconti sul filo del rasoio che hanno come protagonisti personaggi sradicati, grotteschi o ai margini dell’amore, in billico tra follia e ragione. Nell'anno dell'ottantesimo compleanno del celebre regista, sceneggiatore e scrittore francese, Meridiano Zero ha deciso di riproporre al pubblico l'opera con la quale Vautrin vinse per la prima volta il premio Goncourt.
Poi arriveranno le novità:  i primi di giugno uscirà Il giaguaro rosso di Kent Harrington (tra Graham Greene e Joseph Conrad) e il nuovo e provocatoriamente ironico romanzo di Gugliemo Pispisa, Il cristo ricaricabile.

venerdì 13 aprile 2012

Intervista a Marilù Oliva: Esordi, agenti letterari e molto altro

Per prima cosa grazie mille per la tua disponibiltà. E' un piacere poter chiacchierare con te.
Allora, Marilù Oliva, insegnante di salsa, autista di autobus, impiegata, poi hai frequentato alcune redazioni e ora insegni lettere e scrivi. Tra i tuoi romanzi ci sono: "Repetita" (Perdisa Pop), "Fuego" e "Tu la pagaràs" (entrambi Elliot edizioni).


Come ti trovi con Elliot?
Mi trovo molto bene, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano. Sono un gruppo di persone serie e competenti, seguono con passione ogni aspetto del libro e dell'autore. Ho la fortuna di lavorare con grandi nomi dell'editoria, come Simone Caltabellota e Loretta Santini, e di sentirmi quasi in famiglia.



 
Tu hai un blog molto seguito, libroguerriero.wordpress.com. Ti piace avere un rapporto diretto con il tuo pubblico o il blog nasce per un'esigenza diversa?
Il blog non nasce come canale diretto per il pubblico, ciò non toglie che mi piaccia molto comunicare coi lettori. Il blog nasce piuttosto come idea di divulgazione di una letteratura guerriera appunto: che brucia, che scuote, che sovverte. Proprio con quest'intenzione nascono le mie recensioni e le interviste, sfacciate come quelle delle Iene televisive, con domande che spaziano dalle ragioni dell'arte alle futilità.

Cosa pensi degli agenti letterari? 

Penso che siano fondamentali, ma è importante che siano agenti seri e che non chiedano parcelle troppo elevate per la lettura dei manoscritti e la formulazione della scheda-libro.

Qualche consiglio a chi vorrebbe pubblicare il suo primo romanzo. Come si valuta la qualità di un proprio scritto, a tuo avviso?
Non esiste una formula, è difficilissimo autovalutarsi, soprattutto all'inizio. Diciamo che la qualità si può affinare se si è grandi lettori. Potrebbe anche servire frequentare una scuola di scrittura, ma non è detto. Col tempo si tende a migliorare la tecnica e a capire cosa non va, quali parti sono in eccesso, come intervenire. Io mi sono sempre appoggiata a dei correttori/lettori esigenti, alcuni anche inflessibili, che per fortuna non hanno mai esitato a segnalarmi una virgola fuori posto. Ora che sono al quarto romanzo mi sento più sicura, ma ritengo di avere ancora parecchio da imparare. Posso concludere dicendo che, oggi, quando uno scritto è pronto, sento che "funziona", sento l'alchimia. Ma, prima di arrivarci, quando dei passaggi non mi convincono, ci torno sopra finché non sono soddisfatta.

E come si arriva a proporlo a un editore adeguato?
Quando ero aspirante, pensavo che gli editori fossero strani, per non dire maleducati: non mi consideravano, non rispondevano alle e-mail. Poi ho capito perché: sono subissati da manoscritti (molti dei quali brutti e inutili) e se li leggessero interamente e rispondessero a tutti i mittenti, non avrebbero più tempo per seguire nemmeno un libro. Perché la pubblicazione è un'operazione complessa che va dalla revisione del testo alle scelte grafiche, alle decisioni di marketing, al rapporto coi media e con gli autori. Il lavoro editoriale è un'arte, richiede tempo, intuizione, pazienza e molto altro. Ciò non toglie che in questo sistema debbano essere contemplati anche i manoscritti degli aspiranti. Alcune case editrici li leggono, ma ne stampano una percentuale irrilevante rispetto alle pubblicazioni annuali. Ragion per cui, io mi appoggerei a un agente.

So che stai preparando un nuovo lavoro, a breve dovrebbe essere in uscita. Puoi dirci qualcosina in più? Ha sempre a che fare con La Guerrera?
Sì, è la terza puntata della Trilogia della Guerrera. Parlo di Trilogia perché è stata ideata come progetto unitario, ma ogni libro è fruibile singolarmente, anche senza aver letto gli altri due. Nel primo - Tu la pagaràs! - mi concentravo sulla vendetta e sugli aspetti più meschini dell'indole umana. Nel secondo - Fuego - il filo conduttore era il fuoco, con tutte le sue accezioni alchemiche e fisiche, mentre in questo terzo romanzo - Mala Suerte - il tema sarà la Fortuna e la Sfortuna. Il lettore si chiederà, insieme alla Guerrera: alla fine, esiste il Destino? E la risposta che ciascuno si darà forse non sarà così scontata...


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mercoledì 4 aprile 2012

Radiopirata di Francesco Carofiglio

Radiopirata di Francesco Carofiglio è senza dubbio un libro interessante e ben scritto. La storia, va detto, non è forse delle più originali. Siamo in un piccolo Paese di provincia, come molti ce ne sono in Italia e, soprattutto, al sud. Uno di quei classici posti dai quali i ragazzi di vent'anni non vedono l'ora di scappare. Scappare nel senso fisico del termine. Ma non solo. Si può scappare anche in altri modi. Per esempio dando vita al posto dove si vive, rendendolo interessante. Si può scappare inseguendo dei sogni. E un sogno è quello che ha Ciccio. Il sogno di una radio. Siamo agli inizia degli anni '80 e le frequenze sono libere. Sono gli anni delle radio “libere”. Ed è questo lo spunto che dà l'opportunità all'autore di snocciolare la storia. Di raccontare i sogni e la vita dei quattro protagonisti. Oltre a quello di Ciccio, ci sono quelli di Tonio (un po' sfocati), quello di Giovanni (di fare il calciatore, ad un passo dall'Avellino, allora in serie B) e quello di Teresa (di essere un medico). E Carofiglio ci riesce alla perfezione. Il suo modo di descrivere e raccontare ti porta dentro la storia, riesce a coinvolgere il lettore. E non lo fa solo raccontando i “tre più una”. Radiopirata è una coralità di personaggi “minori” costruiti e legati sapientemente tra loro. In alcuni casi forse addirittura meglio dei quattro protagonisti. Mary Magdalende, una donna di colore che da qualche anno si è trasferita nel paese e di cui nessuno sa molto. Don Lorenzo, un giovane parroco con la passione per il rock e una vita di turbamenti. Margherita Lagresta, una ragazza di 16 anni, figlia del sagrestano, forse il personaggio più difficile da definire per la complessità del suo ruolo nel romanzo, ma anche perché è difficile definire un adolescente (anche in questo Carofiglio riesce ad imprimere la sua impronta). Ma ci sono ancora Mimmo Campanella (Deadman), proprietario del negozio di dischi dove lavora Ciccio, di cui si scoprirà un passato da rocker; i Baroni Mezzacane, che da anni ospitavano i parroci del paese presso una loro residenza, fra cui Don Lorenzo, che tramite loro scoprirà la tristezza della malattia, il coraggio di affrontarla, la lontananza dal proprio Dio. Tutti pezzi importanti di un puzzle che si completa pagina dopo pagina e che restituisce un affresco sincero di un pezzo del nostro Paese e di un parte della vita di ognuno di noi.
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