giovedì 29 settembre 2011

AISM: "Dillo a modo tuo"

Oggi voglio segnalare un concorso organizzato dall'Associazione Italiana Sclerosi Multipla e che potrebbe interessare qualche aspirante scrittore. Il concorso si intitola Dillo a modo tuo ed è un'iniziativa tutta incentrata sul peso delle Parole, l'obiettivo è quello di dar vita a un "dizionario delle emozioni".
Per informazioni più dettagliate vi consiglio di visionare il sito www.dilloamodotuo.it, in palio ci sono dieci buoni Feltrinelli da 50 euro e tre corsi online presso la Scuola Holden di Torino.
Si può intervenire con commenti, poesie, immagini e quant'altro. Insomma: date un'occhiata e fatevi sotto :)

venerdì 17 giugno 2011

Granta Italia

Nasce Granta Italia, rivista letteraria internazionale tra le più prestigiose. In Italia sarà edita da Rizzoli. Un'ottima notizia per gli addetti ai lavori.

E' arrivata finalmente in libreria l'edizione italiana di Granta, la celebre rivista letteraria inglese che da oltre trent'anni raccoglie le voci più interessanti del panorama internazionale.
Dopo il successo delle edizioni spagnole e portoghese, nel laboratorio di nuove scritture della rivista approdano finalmente anche i grandi nomi italiani.

Ogni numero, come nella tradizione, ruota intorno a un tema, sul quale dialogano i grandi autori e gli esordienti attraverso racconti, reportage, immagini (dalla fotografia alla graphic novel).
Il primo numero è stato presentato ufficialmente al Salone Internazionale del libro di Torino. In libreria da maggio, è dedicato al lavoro, con contributi, tra gli altri, di Salman Rushdie, Michela Murgia, Colum McCann, Walter Siti e Francesco Piccolo.
In uscita in autunno, il secondo numero della rivista ci racconterà di amore e violenza, famiglia e desiderio, sogni e perversioni, speranze e di ricordi: in una parola, di sesso.

La lettura continua anche on line, sul sito www.grantaitalia.it, che arricchirà la rivista con continui aggiornamenti, nuovi racconti e materiali esclusivi: gallerie fotografiche, percorsi bio e bibliografici, rubriche, documentari, reportage e videointerviste.
 

venerdì 6 maggio 2011

La bambina che imparò a non parlare (Del Vecchio Editore)

Il libro

Questo romanzo si pone come un'opera sul silenzio. Settantotto intense pagine di silenziosa umanità. Una bambina senza nome, una madre ingombrante. Un appartamento silenzioso e in penombra. Una morte scomoda, quella del pater familias che se ne va, le lascia sole.
Due donne che trovano due modi diversi di reagire alla perdita. La mamma si rifugia in un mondo fatto di scrittura, con frasi asciutte e brevi, ispirate al mondo dei morti. La figlia, invece, cerca in silenzio di interagire con il dolore della madre, che sembra volerla far vivere in un mondo di finzione, in cui il padre non è morto ma semplicemente non c'è.
La narrazione scorre quasi senza tempo e senza luogo e la bambina sembra quasi un'adulta che svela i suoi sei anni solo la notte, quando stringe il corpo della madre dormiente.
La creatura protagonista entra in contatto con la madre, amandone il dolore e le ferite, provando un reale sentimento di gelosia verso il mezzo – la macchina da scrivere - con il quale la donna sembra entrare in contatto con l'anima dell'uomo che non c'è. Quando l'opera, scritta in un'apnea di sensi durata mesi interi, sarà terminata, la piccola donna sentirà la mancanza di un collegamento invisibile tra lei e la madre, e indirettamente una connessione tra lei e il genitore assente. Collegamento che ritroverà almeno in parte nelle lunghe giornate al mare. Ricordando quando le stesse giornate erano scandite dalla presenza del padre.
Un breve roman à clef che ben si inserisce nel panorama odierno, con intensi elementi multiculturali senza mai cadere nella banale descrizione di luoghi o persone, senza cercare continuamente di riempire il lettore di dettagli, con un’ammirevole capacità di sospendere il tempo, tralasciando il frenetico scorrere di giorni, mesi e anni.


L'autore
Yasmine Ghata, figlia di una poetessa libanese, nasce in Francia nel 1975. Si dedica alla storia dell'arte, specializzandosi nello studio dell'arte Islamica alla Sorbona ed a L' École du Louvre.
Il suo primo romanzo, “La notte dei calligrafi” ha riscosso un buon successo ed è stato tradotto in tredici lingue. Ha vinto diversi premi tra cui il Cavour.

“La bambina che imparò a non parlare”
di Yasmine Ghata
ed. Del Vecchio Editore
€ 13,00

http://www.delvecchioeditore.it/index.php?pagina=scheda&scelta=52

venerdì 18 marzo 2011

Cinque donne per Tessere Trame

E' nata da qualche giorno Tessere Trame, associazione culturale che si propone l'arduo compito di rivitalizzare con idee sempre più brillanti e creative il sistema della promozione libraria italiana. Ecco una breve presentazione del gruppo. 




"Le ideatrici sono: Barbara Garlaschelli (scrittrice), Nicoletta Vallorani (scrittrice, saggista, traduttrice), Elisabetta Spaini (operatrice teatrale), Daniela Losini (scrittrice, giornalista), Eugenia Gilardi (giornalista economica, mamma). Consulenti: Bruna Durante, Simona Tediosi, Marina Vallorani.
A loro si aggiungono donne e uomini, artisti e non, legati da un comune denominatore: la passione per l'arte, l'impegno civile, la cultura.
I nostri obiettivi sono: raccontare storie, promuovere e realizzare performance letterarie, creare percorsi di lettura e d'immaginazione. Ci siamo inventate la book-performance e le Mappe sulla pelle e altro ancora di cui racconteremo nel blog.
Ogni autore, ogni artista, ha voce unica e irripetibile. Il desiderio di Tessere Trame è metterla in risalto e portarla nel mondo.
Il primo evento di Tessere Trame sarà una book-performance sul libro di Nicoletta Vallorani Lapponi e criceti (edizione Verdenero, 2010) che si terrà il 19 marzo alle ore 18,00 alla Biblioteca Civica di Carugate, Via San Francesco d'Assisi, 2.
Vi accoglieremo con grande entusiasmo!"
http://www.facebook.com/TessereTrame

http://www.tesseretrame.com/ 

lunedì 14 marzo 2011

Giulio Mozzi e gli esordienti

Condivido qui un link interessante pubblicato da Giulio Mozzi su Vibrisse e intitolato "Istruzioni per mandare opere dattiloscritte a Giulio Mozzi, affinché egli possa leggerle con tutto comodo".
Mi pare si tratti di un esempio molto chiaro e interessante (benché personale) di come funzioni il lavoro di scouting letterario italiano.
Qui l'articolo: http://vibrisse.wordpress.com/2011/03/07/istruzioni-per-mandare-opere-dattiloscritt-a-giulio-mozzi/

giovedì 3 marzo 2011

Racconto: Una moglie devota (di Marco Negri)

Il racconto di oggi si intitola Una moglie devota, scritto da Marco Negri. 
Per introdurci in un mondo fuori prospettiva Marco usa un narratore onnisciente che potrebbe sembrare esterno alla storia ma che è in realtà un personaggio attivo (che immagina oppure osserva in prima persona ciò che accade). Gli inganni della prospettiva sembrano continuare con le "inquadrature" dall'alto che vengono offerte in più occasioni, fino ad arrivare alla scena finale dove ogni cosa torna, seppur rovesciata, al suo posto. Un buon ritmo di scrittura e qualche guizzo stilistico trasformano infine un'idea non proprio innovativa in un racconto che si dimostra di buona qualità e di cui consiglio sicuramente la lettura.
Donna in rosso di Emilia Wolkiewicz



Una moglie devota

«Dove sei?» chiede Giorgio. Ascolta la risposta poi appende.
Mentre appoggia il telefono, forse incrocia lo sguardo della moglie che esce dalla doccia, coi capelli arruffati e la luce del tardo pomeriggio riflessa sulla pelle umida e tesa. Lei lo fissa confusa, col disegno leggero delle labbra fini dischiuso a indicare un vago stupore, e una domanda sospesa tra i denti bianchi: “Che diavolo ci fa già qui?”
Poi l’occhio le cade tra le lenzuola del letto sfatto e sconvolto, passa alla bottiglia di vino ormai vuota che riposa sdraiata sul pavimento, e si inchioda sulla scatola di Viagra abbandonata sul comodino.
E suo marito, Giorgio, la fissa a sua volta. Anche lui fedele al silenzio.
Forse. Oppure esce e basta.
Comunque Laura prende il telefono e chiama quel numero.
«Orlando» attacca con una voce quasi divertita. «Ha capito! Sta venendo da te?» chiede ma riparte subito, spinta dall’emozione. «È tornato prima dall’ufficio» tentenna, poi si affretta ad aggiungere, «non so come mai. Sono uscita dalla doccia ed era lì, con il mio cellulare in mano. Ha trovato il tuo messaggio, credo, l’ha letto e ti ha chiamato, vero?» Un fruscio riempie la pausa tra la domanda e la risposta che non arriva: Laura si pettina i capelli.
«Chissà cosa ti dirà» continua. «Oh dannazione!»
Qualcosa nella stanza tocca terra.
«Orli, la spazzola, è finita sotto il letto, che palle. Ora mi chino a prenderla, peccato tu non sia qui…»
Giorgio, in quel momento sta scivolando giù dalle scale, scendendo i gradini con quel passo attento e preciso che aveva fin da bambino, quando passeggiava per ore con la madre, prima che lei lo lasciasse per un tumore al seno del tutto guaribile.
Se avesse lottato.
Col suo camminare da soldatino, compare dal portone del condominio ed esce. In strada, una mano alzata lo ferma. Giorgio blocca i piedi con un’espressione simile a gratitudine.
Elio Domenichini, detto Polemica, gli si ferma a pochi centimetri dalla faccia e subito inizia a parlare gesticolando in ogni direzione, sparando le braccia a destra e sinistra. Da tempo in guerra con l’assemblea condominiale, deve aver visto in Giorgio l’alleato ideale.
«Orla?» continua Laura recuperando la cornetta dopo essere riemersa da sotto il letto. «Perché l’abbiamo fatto?» Si perde in una bolla di silenzio, poi riprende. «In fondo noi eravamo la sua famiglia, no?» Pausa. «È che a lui stava bene» continua con la sua graziosa abitudine di rispondersi da sola. «Non si è mai opposto. Ma io comunque so il motivo.» Altra pausa. «Lo vuoi sapere?»
Giorgio incrocia le mani dietro la schiena mentre il Polemica indica con furia qualcosa per terra: tira su le braccia e le sbatte giù. Su e poi giù. Ogni gesto è accompagnato da un verso della bocca. La spalanca lasciando uscire chissà quale imprecazione. Parole idrofobe che non sembrano interessare Giorgio: osserva catatonico la scena, come di fronte a un intermezzo pubblicitario.
Un gruppo di passanti gli gira intorno; visti dall’alto sembrano un fiume in secca che avvolge un’isoletta di terra e sabbia. Sono tre coppie sulla sessantina, appena uscite dalla vicina sala da ballo. Tirati a festa, gli uomini abbracciano le rispettive compagne. Ridono.
Giorgio li segue con lo sguardo, passando da uno all’altro. Osserva anziani signori e magari prova invidia: rivede sua madre in ospedale, vent’anni prima. Sua madre che non sarebbe mai diventata vecchia, ma solo un pensiero fisso nella testa. Sua madre che poco prima di morire friggeva parole dicendo all’uomo che aveva sposato che ora lo lasciava libero. Libero di fare ciò che voleva, senza intralci. E lui che non negava ma solo le diceva: «Te la prendi troppo».
E Giorgio, quindici anni, nascosto fuori dalla porta, aveva forse imparato che il tradimento fa male se te la prendi troppo.
«Lui odia il sesso» dice Laura, mentre con la mano libera apre un qualche tipo di barattolo. «Sì, ci ho pensato parecchio. A letto con me non viene mai. In cinque anni forse tre o quattro volte. Se esco, non si preoccupa di sapere con chi, non lo sfiora nemmeno. Vuole solo che torni a casa la sera. Credo non gli vada di stare solo.» Si blocca un istante, forse a riflettere se questo dettaglio possa avere una qualche importanza. «Ma non mi sono data per vinta. In fondo è mio marito e l’idea che non voglia fare sesso con me non mi va giù. Più che altro mi sembra impossibile!» e si lascia andare in una risata stridula che suona ihihih. «Ho provato a scuoterlo in tutti i modi, sai?» prosegue. «Tornando a casa con reggiseni strappati (in questo c’entri tu), mazzi di rose (qua no, non sei così romantico), succhiotti, lividi e involucri di preservativi sparsi in ogni angolo della macchina. Niente, neanche una parola. E allora, per spronarlo, rimaneva un’ultima cosa da fare.»
Il Polemica lotta con la cerniera del giubbotto. Si agita, di sicuro sbraita. Infine riesce a liberare il cellulare e lo porta all’orecchio. Dopo qualche istante chiude la comunicazione e si congeda tra mille gesti sparsi a mezz’aria.
Giorgio lo osserva entrare nel palazzo. Indugia. Poi si anima e si accosta alla strada per attraversare.
Arrivato sull’altro lato si avvicina e…
«Orli ti vedo! Sei anche tu alla finestra.»
Alzo lo sguardo dal marciapiede e punto il palazzo di fronte: Laura è in perizoma, mi fissa e saltella sbracciandosi con la mano libera.
Il citofono suona.
«Devo andare, tesoro» dico. «È arrivato.»
Appoggio il cellulare, apro il portone al piano terra, poi resto in ascolto: il ronzio cigolante dell’ascensore che si ferma. Passi sul pianerottolo. La porta si schiude. Silenzio. Occhi sospesi nella stanza. Un sospiro.
Non resisto, parlo io. Un modo come un altro per liberare il cumulo acido che mi riempie lo stomaco. Mi gonfio d’aria. Cerco il tono giusto. Chiedo: «Agitato il vecchio Domenichini, eh?»
Giorgio mi fissa, quasi mi vedesse solo in quel momento. Lascia alcune parole senza fiato galleggiare appena fuori dalle labbra, poi risponde: «Già».
«Sempre in guerra con tutti?» continuo deciso a spingere il discorso lontano da me.
«Ci sono delle infiltrazioni d’acqua nella terrazza sopra casa sua, o così racconta» dice con mille pause tra una parola e l’altra, «e vorrebbe che fosse il condominio a pagare.»
«Perché se la prende con te?» domando e conto di sembrare protettivo col mio atteggiamento.
«Non se la prende con me, vuole un appoggio in assemblea.»
«In cambio di cosa?»
«Non lo so, non lo ascoltavo. Avevo altro per la testa.»
«Però, è un bel furbetto!» scivolo via dalla sua allusione e butto un po’ di ilarità nella frase, intanto mi verso un bicchiere d’acqua che non bevo. «Eh» continuo, «dopo una certa età si diventa tremendi.»
«Già» scuote le spalle. «C’è sempre qualcuno che cerca di fotterti» risponde secco Giorgio, liberando di nuovo il silenzio contro di me.
«Certo, poi da uno che chiamano Il Polemica cosa ti aspetti?» dico in fretta e provo a ridere, ci riesco in parte e in parte tossisco.
«Sapevi» prosegue alzando la voce spezzando in due le mie divagazioni nel nulla, «che la prima regola per un buon matrimonio è lasciare spazio al proprio partner?»
All’improvviso la mia loquacità evasiva è azzerata, ridotta a un niente silenzioso. Non capisco dove le sue parole vogliano arrivare. Non rispondo.
«Io sono sempre stato un fermo sostenitore di questa regola. E di spazi, a mia moglie, gliene ho sempre lasciati, perché sai» ora parla veloce, senza pause, «non c’è niente di più fastidioso che essere interrotti mentre si fa qualcosa di piacevole. Giusto o sbagliato che sia. Pertanto, a me piace pescare» apre un piccolo vuoto nel discorso che mi trascina nel nero scuro della confusione, «una passione come un’altra. La settimana scorsa ho conosciuto un collega, su in amministrazione, che ha una barca. Un motoscafo, niente di che, otto metri con una coppia di Mercury da ottanta cavalli. Ieri mi ha proposto di uscire prima dall’ufficio per fare un giro in mare.»
Sono in piedi, mi sento scomodo. Se mi sedessi sarebbe lo stesso.
«Però tu capisci» continua, «il traffico della città e la bella stagione invogliano ad andare in ufficio in moto, ma non potevo portarmi tutta l’attrezzatura da pesca nello zaino e allora lascio un biglietto sul comodino di mia moglie e le ricordo che alle quattro sarei passato a prendere le mie cose.» Mi fissa. «Non invadere gli spazi è una cosa importante.»
Cerco di pensare cose tristi e dolorose: un cervo abbattuto, il piccolo del cervo che annusa il corpo senza vita e ancora non capisce, incerto sulle zampe fragili, e in lontananza il ringhio dei cani è sempre più vicino. Mi chiedo se la mia espressione è abbastanza afflitta.
«Ma» continua Giorgio, «immagino che per il cervello di una donna qualche ora sia sufficiente per elaborare quello che si può definire un piano. O quella che, con notevole sforzo, potrei definire una specie di terapia.»
Ripesco un dettaglio dal vaneggiamento di Laura, poco prima al telefono. Abituato a non dar peso alle sue parole, non avevo intravisto nulla in quella semplice frase: ...rimaneva un’ultima cosa da fare.
E l’aveva fatta.
«Di fronte alla verità, anche il più viscido tra i meschini offre un minimo di onestà» aggiunge, poi tace.
Onestà, certo. Ma il più viscido tra i meschini l’onestà non può concederla così, senza filtri.
«Ti ricordi» dico con una nota rauca per il troppo silenzio, «quando facevi le gare di pesca? Quella volta che eri a letto con la febbre e avevo preso il tuo posto? Tua mamma non voleva, diceva che mi avrebbero squalificato. Invece nessuno si è accorto di niente e abbiamo vinto!»
«Già. Sei sempre stato molto protettivo. Quasi un fratello.»
In quel momento qualcosa cede. Dentro di me o fra di noi. Io passo le mani tra i capelli, privo di parole dietro le quali nascondermi.
Lui continua: «Come in terza liceo, quando un tale di quinta mi aveva preso a pugni per farsi bello davanti alla mia ragazza. Sei andato a prenderlo la sera stessa con i tuoi amici. Non è venuto a scuola per una settimana».
Aggrotto le sopracciglia. «Beh, eri gracile all’epoca e troppo timoroso. Vedevi in tutto una sfida più grande di te. Io sentivo il bisogno di intervenire per indicarti la strada.»
Giorgio annuisce piano con la testa. Il suo cellulare suona. Legge il numero. Mi guarda. «E me l’hai indicata» dice, poi risponde: «Sì, amore». Ascolta. «No, ora non posso.» Silenzio. «A dopo, piccola.»
Mentre abbassa il telefono seguo il suo sguardo: mi trascina oltre la stanza, fuori dalla finestra, fino al palazzo dall’altra parte della strada.
Socchiudo gli occhi e metto a fuoco Laura sul balcone, in topless sotto il sole con le braccia aperte. Le mani vuote: tra le dita solo aria.
«Sei bravo.»
La voce di Giorgio mi riporta dentro. Ma non è lui a parlare, solo ora me ne accorgo: è un’altra persona. Diversa. Evoluta. Cambiata.
Balbetto senza frasi utili da dire.
Il non più lui mi fissa divertito. Poi riprende: «Sei bravo a colmare le mie mancanze. Ma non è ora di finirla, papà?»


Biografia Marco Negri ha esordito nel gennaio 2008 con il romanzo giallo Il giorno del gabbiano (edizioni Il Filo), il cui seguito, In un punto morto, è arrivato finalista al premio letterario Giovane Holden 2010. Ha pubblicato alcuni racconti con Giulio Perrone editore e Delos Books, e collabora con il quotidiano on-line “Varese news”.
Il suo indirizzo email è: info@marconegri.info 

lunedì 28 febbraio 2011

Neri Pozza e i premi letterari

Riporto di seguito dal sito Neri Pozza la comunicazione ufficiale sulla politica della casa editrice nei confronti dei premi letteri. 
Mi pare un argomento interessante da sviscerare.







Neri Pozza non partecipa ai premi di narrativa italiana.

Questa comunicazione è rivolta innanzi tutto agli autori italiani, agli agenti di autori italiani e agli organizzatori dei premi letterari di narrativa italiana.

Neri Pozza rende noto che la casa editrice ha deciso di non partecipare, dal 2010 in poi, ad alcun premio letterario di narrativa italiana.
Le ragioni principali di questa scelta sono le seguenti:
1) non esiste in Italia alcun premio letterario nazionale, comparabile in qualche modo ai premi letterari internazionali, come il National Book Award, il Goncourt o il Booker Prize. I principali premi italiani non sono premi di «narrativa letteraria», dal momento che selezionano spesso tra le opere partecipanti romanzi polizieschi, thriller e storie di vita vera. Non sono nemmeno premi «nazionali», influenzati come sono da realtà editoriali e culturali locali;
2) le giurie dei principali premi italiani non sono composte da critici letterari, al corrente di sviluppi e tendenze della letteratura contemporanea, ma da accademici di altre discipline, personalità generiche e funzionari di gruppi editoriali;
3) la vittoria, nei premi letterari italiani piú importanti, è riservata da quasi mezzo secolo esclusivamente a due soli gruppi editoriali.

martedì 22 febbraio 2011

Intervista a Emanuele Podestà, di Habanero Edizioni

Per incentivare il discorso sulla distribuzione editoriale già intrapreso più volte qui su Blogolonelbuio, oggi inserisco una bella chiacchierata fatta con Emanuele Podestà, un giovanissimo scrittore che è tra i fondatori della casa editrice HabanerO, una piccola realtà indipendente che sta cercando, con un certo successo, di ritagliarsi il suo spazio nel mare magnum dell'editoria italiana. Emanuele ha risposto in maniera molto dettagliata alle domande, spiegandoci in particolare cos'è il progetto della PopProduzione.
 


Allora, per prima cosa vorrei che mi presentassi HabanerO, quando è nata, quali sono i suoi tratti distintivi, a chi si rivolge, insomma parlami in generale del progetto.

HabanerO è un progetto e con questo voglio da subito far capire che la nostra avventura editoriale è stata lucidamente e razionalmente pensato perché potesse essere innovativa, ma funzionale, rivoluzionaria, ma possibile. Non è una battaglia contro i mulini a vento, ma una sfida che vogliamo vincere. Il nome: Habanero Chocolate Pepper, piccoli peperoncini provenienti dallo Yucatan, molto colorati, molto, troppo piccanti. Il progetto HabanerO trova le sue premesse da tutto ciò: per quanto piccoli noi si possa essere, se saremo insieme, se saremo uniti, nessuno potrà mai pensare di mangiarsi un intero cesto di habanero. Siamo molto colorati:
pericolosissimi, sì, perché quasi mortali per la nostra piccantezza, difficilmente digeribili, scomodi, estremi. Un piatto di habanero dà un bel colpo d'occhio, è allegro, ma le insidie sono tante: in sintesi una forma accattivante, un contenuto pericoloso. HabanerO è una casa editrice indipendente e underground di base a Genova, coinvolge una redazione di 10 ragazzi e ragazze under 30, si occupa di promozione e produzione di autori che hanno qualcosa di forte da dire.

Vi occupate solo di esordienti o avete pubblicato anche autori già noti?

L'occhio di riguardo è per esordienti perché ci piaceva l'idea di aiutare chi potrebbe incontrare più difficoltà nella pubblicazione, ma ovviamente è capitato in questo primo anno di attività di pubblicare autori che si stanno ritagliando un loro spazio nel mondo della letteratura contemporanea: penso al poeta e performer Daniel Nevoso, autore già di un paio di libri per altre case editrici e prossimamente edito da HabanerO, poi a Marco Candida, uscito già per i tipi di Sironi e recentemente inserito nella raccolta Best European Fiction 2011. Poi c'è Anselmo Roveda, Bruno Cicchetti e tanti altri.

Che idea hai della situazione attuale dell'editoria italiana? E di quella della letteratura italiana?

Prima parliamo di letteratura italiana. Credo ci sia qualcosa che nonostante tutto, nonostante lo zdanovismo cortigiano di quella parte d'Italia che in un saggio bellissimo del professor Panarari viene definita Egemonia Sottoculturale, qualcosa bolle. Certamente la mediocre letteratura italiana si popola, ahinoi, di avvilenti opliti pronti a impantanare il discorso su livelli di basso sentimentalismo (soprattutto in prosa) o vecchio classicismo (soprattutto in poesia), ma qualche fuocherello di vitalità, sperimentalismo, passione può essere trovato. Sto parlando di Wu Ming e il New Italian Epic, Evangelisti, Nove, Lucarelli, Genna e Roberto Saviano. L'editoria, almeno una parte, si sta adeguando. Ci sono, anche qui nonostante tutto, tante buone case editrici che portano avanti un discorso di qualità applicato, giocoforza, al mercato.

Cosa pensate dell'editoria a pagamento?

Ne pensiamo ogni male. E' vero che l'editoria è, almeno in parte, da sempre stata a pagamento: Svevo, d'Annunzio e Moravia, ne cito solo alcuni, pagarono per essere pubblicati. Ma questa è una magra consolazione: il problema è che esistono troppe case editrici e troppe di queste pensano di poter vivere sui cosiddetti manoscrittari, illudendo e spezzando sogni. La grande balla è quella della difficoltà nel trovare fondi: un libro costa molto, è vero, ma noi, per esempio, per supplire a questa endemica mancanza (siamo quasi tutti studenti universitari e nessuno di noi è un mecenate) organizziamo eventi chiamati POPproduzioni in cui raccogliere fondi per i libri. Il male, poi, è radicato: soldi vengono chiesti per servizi di valutazione, ricerca casa editrice, iscrizioni a corsi truffa (vedi il mio "amico" Baricco. Per capire cosa io pensi di Baricco rimando al mio libro La Sindrome di Bob Dylan) e, persino, recensioni su blog che nessuno legge. A noi arriva in redazione una decina di richieste simili ogni settimana. Credono che se siamo piccoli saremo anche dei boccaloni. I peperoncini sono piccoli, ma sanno difendersi.

Quali sono stati i primi passi (anche burocratici) che avete mosso per mettere in piedi la casa editrice, e quale il motivo principale che vi ha spinto a realizzare un progetto tutto vostro?

In realtà il percorso è stato a ritroso: prima abbiamo pubblicato un libro, un mio libro, ovvero La Vera Storia del Fegato di Bukowski: un esperimento, pubblicazione clandestina senza codice isbn, distribuzione, ecc.. Ci siamo presi un bel rischio, abbiamo veramente sfidato la sorte, potevamo non venderne neanche uno. Un po' di spregiudicatezza e non curanza: memento audere semper. Poi, contro ogni aspettativa, è andata anche meglio di quanto avremmo potuto sperare: sono andato in tutte le librerie della Liguria, dalle grandi catene a quelle indipendenti, e tutte mi hanno preso, mi hanno esposto e mi hanno consigliato e poi venduto. Siamo riusciti a vendere 500 copie in meno di sei mesi. Fortuna del principiante o meno, era la scossa che ci ha spinto a mettere apposto tutti i particolari, anche quelli burocratici. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione con Erga Edizioni, la più antica casa editrice di Genova che ci ha preso sotto la propria ala.


Parlami un po', in generale, della distribuzione editoriale italiana, cosa ne pensi e, eventualmente, come la rinnoveresti?

Io credo che le grandi case editrici hanno ingolfato il sistema. Troppi libri troppo spesso inutili fanno da tappo a una nascente e irrinunciabile nuova stagione della letteratura italiana. Qui parlo da scrittore: non si può chiedere ad un esordiente di vendere come un comico di Zelig o un calciatore, se si punta alle vendita la qualità rimarrà 99 su 100 una componente fortuita. Credo che qui debbano essere le piccole e medie case editrici a rompere il giogo dei soliti canali di distribuzione. Parlo da editore: HabanerO, nascendo come esperienza che si ispira ai promoter musicali del mondo indie, agisce da agenzia di tour booking facendo viaggiare il più possibile i propri autori e performer in modo che questi possano conoscere e interessare un buon numero di persone. In più, ormai da sei mesi, organizziamo noi stessi feste e festival in giro per l'Italia. Credo che le case editrici, quelle che hanno fame e voglia di spaccare tutto come noi, debbano essere disposte a "sporcarsi le mani" e tirarsi su le maniche.


HabanerO per la distribuzione si appoggia al canale Cda, se non sbaglio. Come siete entrati in contatto con questo canale? Avete anche una vostra rete indipendente? Cosa intendete, più in dettaglio, quando parlate di POPproduzione?

Cda è il nostro canale di distribuzione, a questo siamo arrivati grazie a Erga Edizioni. L'alternativa è la vendita nei nostri eventi e in tutti quegli esercizi che i distributori non raggiungono: caffè letterari, bar, ristoranti, negozi d'abbigliamento, una volta persino un sexy shop. POPproduzione è un'intuizione che ci è venuta qualche tempo fa: organizziamo un concerto o grosso evento, conteniamo le spese, la gente viene alla serata sapendo che quell'occasione è concepita come benefit al fine di produrre un libro e che quindi i fondi saranno girati per la produzione del libro. Il prezzo del biglietto è lo stesso del libro e quindi, tenendo il biglietto si riceve una volta editato (solitamente entro un mese) il libro che si è finanziato. In pratica con le POPproduzioni vendiamo in anteprima il libro, tutti sono editori, non chiediamo un centesimo all'autore e quando pubblichiamo abbiamo almeno 150/200 lettori già certi. Ad esempio, il 4 febbraio abbiamo organizzato una grande serata in uno dei maggiori teatri genovesi, il Teatro della Tosse (Sala La Claque) per produrre Saltare nelle Pozzanghere di Francesca Sophie Giona. Una bellissima serata giovane alla quale hanno partecipato 150 persone pagando 10 euro d'entrata. E' stato un vero e proprio successo.

Come gestite invece la promozione, siete autonomi, vi appoggiate a qualche canale già noto, o entrambe le cose? Vantate delle iniziative particolari in tal senso?

Una grande festa al mese, una media di 200 partecipanti, presentazioni di ogni libro (anche più di una), incontri (abbiamo portato o porteremo a Genova Luca Telese, Marco Damilano, Gianrico Carofiglio, Lorella Zanardo, Aldo Schiavone), bookshop durante concerti musicali. E' questo il nostro modo di promuoverci, tenere il territorio e dare una possibilità di esibirsi a tutti. E poi Django: Django è la nostra free press di diffusione poetica. Si dice che la poesia non si vende? Benissimo, noi la regaliamo: librerie, biblioteche, treni, negozi, bar, scuole, università, tutti hanno la loro copia di Django a Genova. Con una tiratura che entro fine anno dovrebbe arrivare a 10 mila copie, questo è lo strumento più efficace per parlare di noi, delle nostre proposte e dare spazio a chi vuole pubblicare gratuitamente i propri componimenti. Django ha poi l'onore di riportare interventi di Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale (la più importante cornice genovese) e del prof. Bruno Cicchetti, uno dei fondatori di HabanerO.


Avete mai pensato di collaborare con altri editori per aumentare la visibilità del vostro progetto (penso, tanto per citare un esempio, al modello «Beat edizioni», progetto in cui convergono tre editori di tutto rispetto come minimumfax, Neri Pozza e La Nuova Frontiera)?

E' una soluzione alla quale stiamo pensando, il problema è trovare realtà "positive" e propositive che non vogliano approfittarsi. Questo ci è riuscito con Erga Edizioni, instaurando un matrimonio che può solo durare. Finora abbiamo collaborato con promoter musicali e etichette discografiche. Ma come detto c'è la volontà di lavorare con case editrici serie: noi in dote portiamo freschezza, giovinezza, rivolta. Loro possono insegnarci tanto e questo per noi è importantissimo.

Parlami un po' del catalogo di HabanerO e, se vuoi, delle prossime uscite.
Due collane, una dedicata ai romanzi, Officina HabanerO, l'altra di poesia. Fanno parte della sezione romanzi anche le raccolte di autori che nel primo anno di vita ci sono servite tantissimo per raggiungere più gente possibile. In un anno abbiamo pubblicato 30 autori, il 60% di questi sono esordienti totali. HabanerO è la valvola di sfogo di una gioventù, quella genovese, che rischia giornalmente l'anestesia totale in una città troppo abituata al suo torpore e alla sua incoerenza per poter davvero sognare. Joyce scelse Dublino come vessillo dell'immobilismo del suo tempo: la nostra Dublino è Genova.

Come selezionate gli autori da pubblicare? Vi basate sull'invio spontaneo di manoscritti o cercate anche di fare uno scouting più dinamico (cercate di contattare, ad esempio, autori incontrati on-line)?

Io sono uno di quelli che si legge i blog e le note di Facebook. Do molta importanza a questo lato, quello dello scouting "nascosto": proposte ne arrivano a bizzeffe, siamo fortunati, ma è successo che prima nascesse un progetto e poi si sorgesse l'esigenza di trovare gli interpreti adatti. In questi casi allora siamo stati noi a contattare gli autori: Guida alle Più Bastarde Vie del Mondo, Paura e Delirio a Genova, L'Artigiano Innamorato sono le tre esperienze alle quali mi riferisco. Si può dire che facciamo una specie di casting a insaputa degli artisti.

Che caratteristiche deve avere, per voi, un testo di qualità?

Questa è la domanda più semplice: sincero e cattivo, spietato (o verso qualcuno/qualcosa o verso se stessi) le due qualità che da direttore artistico sto cercando.


Consapevoli del fatto che stiamo parlando di piccola editoria e che siete di nascita molto recente, quanto vende in media un vostro titolo? Quando considerate un libro un successo (in termini economici)?

Dipende. Io ho venduto, tra La Vera Storia del Fegato di Bukowski e La Sindrome di Bob Dylan 2500 copie in meno di due anni. Uno dei nostri autori, Michele Lorefice, ha venduto del suo Il Cielo in rovina quasi 1000 copie in due mesi. Questi sono i due casi più eclatanti, ad oggi, comunque, con dieci titoli in collana abbiamo una media di 500/600 copie vendute a libro. Anche il successo economico è relativo: tornare nelle spese è una buona cosa, tornare nelle spese e trovare i soldi per finanziare un'altra opera è una bellissima cosa.

Siete già in grado di dare anticipi all'autore?

E' successo per un libro, L'Artigiano Innamorato, raccolta di racconti sull'artigianato ligure visto con occhio fantastico. In questo caso abbiamo pagato viaggi a tutti gli autori che ne hanno fatta richiesta perché potessero muoversi ed andare sul luogo in modo da poter vivere ciò di cui poi avrebbero scritto. Per i poeti e performer, poi, la promozione del proprio libro inizia solitamente qualche mese prima che la loro opera esca. In questi mesi noi troviamo loro locali, teatri e festival in cui esibirsi e il loro spostamento e l'eventuale pernottamento è sempre a nostro carico. In pratica gli anticipi sono viaggi pagati dalla casa editrice o, meglio, gli anticipi sono esperienze nuove.

Avete in mente di ampliare il vostro catalogo con nuove collane?

In questo momento abbiamo due collane, poesia e prosa, più la rivista Django. L'intenzione è quella di partire a breve con la saggistica, il fantasy ed un progetto fotografico al quale tengo molto. Diciamo che ci abbiamo preso gusto!

venerdì 18 febbraio 2011

LibriBlog intervista Blogolonelbuio

Blogolonelbuio intervistato (qui) dagli amici di LibriBlog  (che ringrazio molto).

giovedì 10 febbraio 2011

La distribuzione editoriale

Dato che qui su Blogolo abbiamo parlato spesso delle difficoltà della distribuzione editoriale e molti addetti ai lavori hanno espresso la loro opinione in merito, mi faceva piacere oggi condividere questo post pubblicato dagli amici di Nazione Indiana (a cura di Enrico Piscitelli). Potete commentare direttamente sul loro blog cliccando qui.




di Enrico Piscitelli


[Mi piacerebbe che questo intervento sulla distribuzione fosse letto tenendo d'occhio questo intervento di Vincenzo Ostuni sulla qualità nell'editoria, ecc. a. i.]

Enrico Piscitelli

Qualche tempo fa, Andrea Inglese ha pubblicato su Alfabeta2 una mia piccola nota, sulla situazione attuale della narrativa italiana – non di major. Scrivevo, in quella nota: “la narrativa italiana ha un riscontro bassissimo. Al momento, il più basso degli ultimi anni. I librai prenotano pochissime copie dei libri di narrativa. Non si fidano. Sanno, o qualcuno ha detto loro, che venderanno solo un piccolissimo numero di romanzi italiani, e solo di alcuni autori. Qui stiamo parlando di numeri così bassi, che cinquecento copie vendute di un libro di una piccola casa editrice, sono un successo clamoroso, roba da brindare col prosecco”.
Questa nota è stata ripubblicata da molti. Per esempio da Loredana Lipperini, nel suo blog. Lì, nei commenti, Federico Guglielmi (Wu Ming 4), scrive: “quanto all’intervento di cui sopra, non mi sembra (più) vero che nessuno scrive questa verità. Forse non è sbandierata a titoli cubitali sui giornali, ma in realtà è risaputa e sotto gli occhi di tutti”. Ma, soprattutto, Guglielmi si chiede cosa fare e come agire. Domande impegnative, e importanti. Senza dubbio.
Nicola Lagioia, invece, sempre negli stessi commenti, scrive: “tra le altre cose, lavoro da anni come editor in una piccola casa editrice, e cioè minimum fax e – dati alla mano – i numeri non sono quelli di Piscitelli. Quando vendiamo 500 copie di un esordiente, non brindiamo a champagne e nemmeno a prosecco, ci chiediamo in cosa abbiamo sbagliato, visto che nel libro mandato in libreria credevamo tutti”. Ma Minimum fax è, davvero, una piccola casa editrice? Spulciando il suo catalogo, si può vedere che ha pubblicato nel 2010 quarantatré titoli, in dieci collane. Quella di narrativa italiana, però, Nichel – diretta da Lagioia – pubblica solo sei libri all’anno. Sei libri su quarantatré. Dovrebbe far riflettere anche questo, secondo me.
Anche Mauro Baldrati ha ripreso il mio pezzo, su Nazione indiana: “come uscire dal Grande Terrore?”, scrive Mauro, “non facciamoci illusioni. Noi, e i nostri figli, non rivedremo le grandi pianure d’Africa di nuovo popolate di elefanti, leoni, rinoceronti e gazzelle che vivono in armonia con l’ambiente. Forse però continueremo a vederli nelle riserve e nei parchi naturali. Il Grande Terrore può causare l’estinzione della letteratura”. Baldrati invita a ragionare sui meccanismi della distribuzione, e prende come esempio Senzapatria, editore che si è inventato una modalità nuova di vendere i suoi libri.
Ecco, ha ragione Baldrati: è davvero il caso di esaminare questi meccanismi. O di provarci, almeno.
Il mercato del libro in Italia vede sempre più il predominio di posizioni consolidate e dominanti. I principali attori sono presenti in tutta la filiera. Ovvero, fanno tutto: sono editori, stampatori, distribuori, promotori, librai. Prendiamo, per esempio, il gruppo Mondadori, l’azienda più grande nel settore editoriale. Mondadori possiede i marchi Mondadori, Einaudi, Sperling & Kupfer, Electa, Piemme, Harmony, EL, Frassinelli. Come distributore opera la Distribuzione Libri Mondadori, che distribuisce, oltre ai libri delle case editrici del gruppo, altri editori di primo piano come Rai-Eri, e Baldini Castoldi Dalai. Per la vendita diretta esistono nove Mondadori Multicenter (megastore), e 16 librerie Mondadori, di proprietà del gruppo, oltre a centinaia di punti vendita in franchising. Il gruppo Mondadori ha anche un suo sito di vendita on-line di libri e prodotti media, BookOnLine (BOL). A tutto questo, vanno aggiunti Mondolibri-Club degli Editori (di cui fanno parte, fra gli altri: Ok Musica, Junior Club, e Euroclub) e Piemme direct, che operano nelle vendite per corrispondenza tramite catalogo.
Mondadori, insomma, è in grado di riempire un’intera libreria. Anche con buoni libri, fra l’altro – basti pensare al catalogo Einaudi.
Ora, immaginiamo di voler creare una casa editrice. Secondo NielsenBookScan, nel 2009 l’on-line aveva una quota di mercato del 3,5 percento. Questo vuol dire che tutti gli altri libri – il 96,5 percento – si vendono ancora attraverso i canali di vendita “tradizionali”: librerie, di catena e indipendenti, edicole, grande distribuzione organizzata. E arrivare in libreria è difficile. Servono un distributore e un promotore. Il primo è quello che ha, fisicamente, gli scatoloni con i libri della nostra, ipotetica, nuova casa editrice. Il secondo, il promotore, convincerà il libraio a prendere – e si spera: vendere – i nostri libri. In alcuni casi i due ruoli coincidono, e alcuni distributori hanno anche una propria rete di agenti librari.
Per esempio, sul sito di Dehoniana Libri – un distributore meno noto di Messaggerie, Cda, Pde o Nda, ma anche parecchio efficiente – si legge: “la promozione degli editori rappresentati avviene attraverso una propria rete costituita da 18 agenti, coordinati da un Responsabile della rete promozionale coadiuvato da due Capi area (Nord e Centro/Sud). Secondo un calendario prestabilito nel corso dell’anno, sono previste visite periodiche alle librerie per la presentazione delle novità annunciate dall’Editore, delle strenne, delle riproposte di catalogo e delle iniziative promozionali concordate, quali, ad esempio, campagne ad hoc su particolari tematiche, collane, autori o altro”.
Distributore e promotore hanno un ruolo fondamentale. Un editore con cui collaboro, parlando del suo distributore, dice sempre “il mio socio di maggioranza”. Questo perché, per fare il suo mestiere, il distributore prende una grossa fetta del prezzo di copertina. Spesso, però, lo fa male, questo mestiere. Non propone i libri, non ha agenti, si limita a inviare qualche lista, qualche file excel, e a mandare poi i titoli su richiesta del libraio – nel peggiore dei casi: in ritardo, o dopo molti solleciti.
Oltretutto – oltre alla percentuale sul prezzo di vendita – il distributore reclama diverse condizioni, per accettare un editore nella sua squadra. Un certo numero di titoli all’anno, per esempio. O un nome di grido. Vorrà insomma partecipare alla programmazione editoriale della casa editrice. Spesso, senza conoscere davvero gli autori e i libri.
È un bel problema: senza distributore, una casa editrice dovrà piazzare i suoi libri direttamente, libreria per libreria, o venderli on-line, dal proprio sito. Con un distributore, invece, la parte propriamente commerciale dovrebbe essere coperta.
Ma ci sono soluzioni alternative alla distibuzione canonica?
Mi aveva incuriosito un’intervista di Andrea Cortellessa a Nanni Balestrini. Balestrini parlava di Area: “verso il 1976-77, poi, inventammo Area: una federazione di una dozzina di piccole iniziative editoriali come la Cooperativa scrittori, l’Erba voglio, Aut Aut, eccetera (molte erano espressione di aree politiche, appunto), che messe assieme componevano un’entità di medie proporzioni, con una buona distribuzione e ottimi risultati commerciali”.
Incuriosito, assai, ho cercato notizie in Rete, su Area. Ma ho trovato solo qualche informazione nell’Archivio Primo Moroni: “ chiudemmo anche la Cooperativa Area che rappresentava il più organico tentativo di creare una struttura editoriale produttiva che avesse la forza di confrontarsi con i grandi organismi di distribuzione editoriale che, com’è noto, sono da sempre uno dei nodi strategici della diffusione della cultura in Italia. Nell’Area avevamo riunito sotto un unica sigla editoriale una decina di case editrici autogestite (Squi/libri, Librirossi, Edizioni del No, Coop Scrittori, Edizioni delle Donne, Lavoro Liberato, ecc.) che, complessivamente, pubblicavano un numero di titoli sufficienti da permetterci l’accesso alle Messaggerie Italiane che era e rimane l’organismo distributivo più importante del panorama editoriale italiano” (Primo Moroni).
Insomma, cos’era Area? Io l’ho chiesto direttamente a Nanni Balestrini. Area – mi ha detto – era una struttura comune, una redazione unica, una alleanza di fatto fra un buon numero di case editrici vicine al Movimento [Nanni, quando gli ho chiesto di Area, l'ha usata spesso, questa parola: Movimento]. L’intento era dividere le spese, e fare blocco nei confronti dei distributori, delle tipografie, delle librerie. Fu chiusa nel 1978, dopo perquisizioni, e minacce niente affatto velate. Quei libri lì, pubblicati dai soci di Area, davano fasrtidio. Da quell’esperienza, nacque Alfabeta.
Un’idea semplice e, allo stesso tempo, rivoluzionaria. Della quale non v’è più traccia. Pare esista una tesi di laurea, sui due anni di vita di Area, e nulla più, a parte i ricordi di chi c’era.
E oggi, esistono idee “diverse”? Quali sono? La risposta è sì. Tra mille difficolta: sì. Ne cito tre, diverse fra loro.
Produzioni dal basso sfrutta le potenzialità della Rete. Funziona così: chiunque lo voglia, può proporre un progetto. La Rete, gli iscritti al sito, possono sottoscrivere il progetto e pagarne una quota. Con questo sistema è stato finanziato, fra gli altri, il documentario Una montagna di balle, sull’emergenza rifiuti in Campania. 506 persone hanno prenotato una copia del DVD, pagando quasi sei euro a testa. Anche alcuni libri sono stati finanziati e prevenduti – e quindi: distribuiti – con questo sistema. Saltando quindi gli intermediari – editori inclusi. [Si veda anche questa intervista apparsa su NI.]
Un altra idea: Murene di Nazione indiana. Murene è una collana che propone testi di  poesia, saggistica e narrativa. Un comitato di redazione sceglie i titoli. I libri sono autoprodotti e acquistati per abbonamento – tre libri l’anno per 20 euro. Sul sito di Nazione indiana si legge: “abbiamo calcolato che 200 abbonamenti dovrebbero permetterci di andare in pari con le spese vive della produzione (le uniche che abbiamo deciso di tenere in conto): impaginazione, stampa, spedizione e spese di gestione del sistema PayPal”. Un altro modo, insomma, di saltare a piè pari distribuzione e librerie. [Per una riflessione sull'autoproduzione e Murene.]
Ultima idea: Senzapatria, ovvero la casa editrice di cui parla Baldrati, nel suo pezzo. Anche qui, incuriosito, ho chiesto direttamente all’editore, Carlo Cannella. Mi ha detto, Carlo, che i libri di Senzapatria, sono venduti negli Automatic Free Shop, ovvero quei negozietti pieni di ditributori automatici tutti arancioni, che vendono merendine, bevande, gelati, aperti ventiquattro ore su ventiquattro. E libri, ora, anche. Ma la rivoluzione, in questo, è soprattutto nel fatto che gli associati ad Automatic Free Shop acquistano i libri di Senzapatria. Non possono renderli, come invece possono fare le librerie. I libri, insomma, sono trattati come ogni altro bene di consumo.
Anche questa è un’ottima idea.

sabato 5 febbraio 2011

Prima di Adamo - Jack London

In attesa di inaugurare la nuova sezione Recensioni riporto qui di seguito la presentazione di Prima di Adamo di Jack London, romanzo scritto nei primi anni del novecento e riproposto di recente da Leone Editore.



Attraverso una sorta di transfert onirico il protagonista si rivede bambino in una terra sconosciuta, abitata da popoli cavernicoli, nel bel mezzo del Medio Pleistocene. Inizia, così, per lui un viaggio misterioso e affascinante, a tratti crudele e spietato, dove incontrerà il Popolo degli Alberi e al fianco del suo inseparabile amico, Orecchio Pendente, dovrà coraggiosamente difendersi dalle insidie del truce e violento Occhio Rosso. Un vagabondaggio in terre sconosciute e inospitali, la scoperta dell’amore e della lotta per la sopravvivenza, la fuga e lo sterminio ad opera del più evoluto Popolo del Fuoco, l’approdo finalmente in una terra sicura. Fantasia preistorica limpida e inquietante, Prima di Adamo presenta tutte le tematiche più care a London assieme a forti suggestioni darwiniane. Una sorta di romanzo distopico proiettato nel passato, ma con un occhio rivolto alle distorsioni e alle ingiustizie del presente. Di ogni presente.

lunedì 31 gennaio 2011

Racconto: Non si maltrattano così le signore - di Sara Ferraglia

Non si maltrattano così le signore è  il racconto di Sara Ferraglia che inserisco oggi su Blogolonelbuio. Un racconto che definirei donna, divertente e scorrevole senza essere banale. Sara in queste poche righe ha ricreato una situazione da commedia capace di generare una buona empatia col lettore e strappare qua e là qualche sorriso, lasciando però lampeggiare allo stesso tempo un riflesso scuro attraverso lo specchio. Cosa sicuramente non da poco.  




Non si maltrattano così le signore

di Sara Ferraglia
(già pubblicato su Viadellebelledonne)

Mi sono accomodata sulla poltrona del parrucchiere. Poca gente, musica new-age e volume un po’ troppo alto.
“ Arrivo subito da te “ Luca, uno dei ragazzi che lavora lì, rigorosamente vestito tutto di nero, si affaccia dall’altra stanza per poi sparire di nuovo.
Rimango sola davanti ad uno specchio immenso e crudele.
Molti anni fa mi piaceva guardarmi, sciogliere i miei capelli neri, lunghi e lisci nell’attesa che arrivasse chi doveva prendersi cura di loro e poi spostarli tutti sulla spalla reclinando il capo, con un gesto lento, studiato, lezioso e guardarmi nello specchio, fissarmi negli occhi scuri, grandi e accesi. Accadeva molti anni fa. Ora lo specchio è crudele perché non mi concede nulla. Non ho più capelli neri da sciogliere, perché da qualche tempo li porto corti, con la scusa che meglio si adattano alla mia personalità; in realtà lo faccio perché sono pratici, li posso lavare ogni mattina sotto la doccia e con le sole mani in pochi minuti li posso acconciare. E poi il capello lungo ad una certa età fa “dietro trofeo, davanti museo”. E poi il capello lungo ha bisogno di cura e attenzioni che solo un parrucchiere può dare, altrimenti si spezzano, si formano le doppie punte…e poi, e poi, accidenti, chi se ne frega del perché ho i capelli corti! Sono tutte elucubrazioni mentali che vogliono solo esorcizzare il tempo e la paura di vedere riflesse in questo specchio le tracce che questo mostro ha lasciato sul viso, sul collo, sui capelli.
“ Eccomi. Ciao, come stai?” dice Luca che con un balzo è tornato dietro le mie spalle.
In realtà non gliene frega niente di come sto io e quindi freddamente rispondo:
“Ciao a te, cosa facciamo coi miei capelli?”
“Dimmi tu, cosa vuoi?”
Un’altra cosa che da un po' di anni faccio fatica ad accettare (credo più o meno da cinque anni o giù di lì ) è questa facilità che hanno i giovani di darti del tu. Una mia amica dice che a lei piace perché la fa sentire a suo agio, invece a me fa sentire fuori posto.
Mi tocco i capelli, li giro e li rigiro fra le dita e poi decido:
“Taglia. Un bel corto tutto sfilatino.”
Luca canticchia e prende da un cassetto una mantella nera così non mi si appiccicheranno tutti i capelli sui vestiti.
Sbandierando come un toreador mi avvolge in quella nuvola sintetica e chiude il tutto stringendo il laccetto di velcron sulla mia nuca.
A quel punto il mio collo subisce una rapida trasformazione e la pelle si raggrinza, si affloscia, si piega e io mi sento un visitor, un E-t appena sbarcato su madre terra!
“Scusami, ho forse stretto troppo?”
“ Un pochino!” gli rispondo col volto paonazzo.
Luca allenta il laccetto e il mio collo si distende di nuovo e torna alla normalità come pure il mio colorito e il ragazzo, sempre canticchiando inizia a tagliuzzare qui e là sulla mia testa.
Continuo a guardarmi nello specchio, che mi sembra sempre più grande e sono rigida come un baccalà, con tutti i muscoli del mio corpo in massima tensione.
Una volta, credo circa dieci anni fa o giù di lì, (incredibile come, ultimamente, mi venga naturale e urgente quantificare il tempo) mi capitava raramente di non sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione mi trovassi mentre ora, ogni tanto, divento Dottor Jackil o Mr.Hide e subisco queste strane metamorfosi.
La porta a vetri del negozio si apre e insieme ad una folata di gelo entra qualcuno.
“Ciao caro, come stai? Hai tempo per me che ho un po’ fretta? Come mi trovi? “ la voce un po’svenevole precede di qualche istante l’immagine di una stupenda ragazza che ora si riflette nello specchio divenuto, per l’occasione, improvvisamente benevolo.
Mi chiedo come farà Luca a rispondere contemporaneamente a tre domande precise e a mettersi subito a sua disposizione poiché sta lavorando sulla mia testa.
Lui prima con quella strizzatine di velcron ha messo a disagio me e quindi ora aspetto di vedere il suo imbarazzo nel dovermi mollare su due piedi! Eh sì ragazzino, qui ti voglio!
“ Ciao bellissima, bene grazie e tu? Ma certo, sarò da te fra pochi minuti e ti trovo splendidamente in forma “ si gira verso la scala e chiama Anna, pregandola di venire subito a sostituirlo.
Mi sorride, si allontana camminando a ritroso e intanto mi dice:
“Scusa sai. Io qui ho finito e ti asciugherà Anna. Non ti dispiace vero? Grazie.”
Ecco come ha fatto. E se l’è cavata anche bene. Sarà grazie all’esperienza o sarà per quella massa di riccioli rossi e quella fila di denti bianchissimi che gli stanno davanti?
Non ho nemmeno il tempo di rispondere che lui è già sparito nella stanza accanto seguito da una fresca e svolazzante scia di profumo.
Torno a girarmi verso lo specchio, sempre più rigida, sempre più baccalà e intanto alle mie spalle arriva Anna, che, un po’ infastidita mi saluta con un secco “buongiorno” e una veloce strizzatina di velcron, così mi trasformo di nuovo, prima in E-T e subito dopo in Mr.Hide.
Sento il mio volto farsi di nuovo paonazzo e i battiti cardiaci accelerare come impazziti.
“ Senti ragazzina, allenta subito questo laccio che mi stai strangolando “- le dico con una voce quasi gutturale, che suona nuova anche alle mie orecchie – e poi corri di là e dì a Luca che gli devo parlare immediatamente, capito? Vai!”
Mi strappo via il mantello da toreador, mi alzo in piedi di scatto pregustandomi il momento di gloria che avrò quando mi troverò davanti quello stronzetto di Luca. Gliele canterò in rima, gli dirò quanto è stato maleducato e che non mi vedrà più nel suo negozio e gli dirò anche che mi dava tremendamente fastidio quando si rivolgeva a me con quel “tu” troppo facile e gli dirò che non è mai stato capace di mettermi a modo la mantellina sulle spalle! Oh, ma quante gliene dirò!
Luca arriva e io troneggio su di lui come una regina disadorna (citazione da uno dei miei autori preferiti) mani sui fianchi da brava “rezdora”, capelli dall’acconciatura spaziale e fumo che mi esce dalle narici come ai tori nell’arena.
“Dimmi, che problema hai?”
Mi da del tu e mi fa anche una domanda precisa: che problema ho.
Che problema ho?
Ne ho mille di problemi e non uno. Il più grosso è che ad una domanda precisa in una situazione di disagio, non mi viene mai la risposta che vorrei.
Qualche secondo di silenzio e poi…le braccia mi scivolano lungo i fianchi, i capelli mi si afflosciano e la mia statura immensa torna nella norma.
Con una vocina flebile e tremula che non mi appartiene per nulla, esattamente come non mi apparteneva quella roca di prima, dico :
“ Non si maltrattano così le signore”. Divento rossa come un papavero e penso…meno male che leggo molto e vedo molti film, così qualche volta mi vengono le risposte giuste al momento giusto!


Titolo Film NON SI MALTRATTANO COSI' LE SIGNORE
Anno 1968
Titolo originale NO WAY TO TREAT A LADY
Durata 107
Vietato 14
Origine USA
Colore C
Genere DRAMMATICO
Formato TECHNICOLOR
Tratto da ROMANZO DI WILLIAM GOLDMAN


Sara Ferraglia: Tutto ciò che è poesia mi appassiona, ma ogni tanto scrivo anche fiabe, racconti e filastrocche per l'infanzia. Scrivo su blog letterari ( Artemisia, VDBD, La Recherche )
Miei racconti sono stati pubblicati su Stampa Alternativa e Prospektiva. Sono stata finalista e vincitrice in numerosi concorsi nazionali con poesie, fiabe e racconti molti dei quali raccolti nel mio blog: sarapoesia.blogspot.com

La sua mail è sara.ferraglia@gmail.com

mercoledì 26 gennaio 2011

Blogolonelbuio intervista Sul Romanzo

Oggi sono davvero contento di poter inserire qui su Blogolonelbuio questa bella intervista rilasciatami qualche giorno fa da Morgan Palmas, fondatore del blog Sul Romanzo.
Sul Romanzo credo non abbia bisogno di presentazioni per gli amici di Blogolo, dato che si tratta a mio avviso del blog letterario più attivo in Italia. Oggi il blog ha però subito una radicale trasformazione e Morgan ci spiega di cosa si tratta.



Visto che spesso qui su Blogolo si parla di esordi sarebbe bello conoscere l'esordio di Sul Romanzo, da cosa è nata l'idea, come è stata messa in pratica e quali erano le aspettative iniziali?
L’idea nella sua forma iniziale ha visto la luce nell’aprile del 2009 come mio blog personale, in realtà il progetto era nato alcuni anni prima, precisamente nel 2002, quando vivevo a Firenze, dove, fra sogni strampalati e slanci giovanili e precarietà esistenziale, desideravo fondare un gruppo letterario. Di sicuro frequentare con costanza gli eventi culturali della città, in particolare l’ambiente delle Giubbe Rosse di cui ancora conservo un bellissimo ricordo, aveva avuto una certa influenza sulle mie scelte successive. Fondai il gruppo – un’aggregazione di giovani amanti della letteratura –, ma non riuscii a far nascere una rivista e un sito come desideravo. A distanza di tempo ci sono riuscito, poi in pochi mesi una concatenazione di energie ha portato nuove idee e progetti. Ho conosciuto collaboratori dotati di intraprendenza e desiderio di mettersi in discussione attraverso la scrittura. Quindi le aspettative erano generose e spensierate, ciononostante nulla poteva far presagire un’evoluzione simile se osservo il presente.

Com'è stata inizialmente l'accoglienza dei lettori?
Tutto cominciò con una sfida: provare a scrivere un romanzo in cento giorni, poi divenuto un libro grazie alla casa editrice torinese Marco Valerio. Postavo ogni giorno una “lezione”, tentando di accompagnare chi aveva accettato la sfida su un sentiero che pensavo potesse in qualche modo aiutare il processo di scrittura e allontanare la paura del foglio bianco. Numerosi parteciparono e mi stupivano di continuo le mail che ricevevo, partecipate e talvolta toccanti per l’intensità delle confidenze. Perciò l’accoglienza è stata fin da subito calorosa, se mi si concede tale termine.

Oggi Sul Romanzo ha subito una trasformazione radicale non solo nella veste grafica ma anche negli intenti, mi pare di capire. Mi spieghi bene quali sono gli obiettivi che vi siete posti, quali i servizi offerti e a chi vi rivolgete (se vi rivolgete a qualche categoria in particolare)? Come è stato accolto il cambiamento?
Gli obiettivi sono nutrire un progetto che profuma ancora per fortuna di fresco, di voglia di provarci, di scrivere per passione e di condividere quanto si pensa d’un autore o d’un libro o d’un argomento letterario; e sono anche l’insana convinzione che dietro alle supposte o vere consorterie editoriali si possa mostrare qualcosa di sé, alla ricerca di opportunità e di contatti che aprano prospettive nuove e stimoli irrinunciabili all’interno del mondo della letteratura.
I servizi offerti – per i quali rimando alle sezioni del sito per i dettagli – vanno dall’editoria, al web, agli eventi, ognuno con microsettori. Ci rivolgiamo agli scrittori, alle case editrici e a tutti gli addetti ai lavori nel caso dell’agenzia letteraria, nel caso invece del blog e della webzine a coloro che amano la lettura e la letteratura.
Il cambiamento è stato accolto con stima, che riconosciamo nelle tante mail che ci arrivano ogni settimana, nei rapporti di fiducia che nel tempo si consolidano e nella curiosità che stiamo provocando, dato che non pochi ci chiedono interviste per esempio, un elemento che non trascurerei.

Tra le novità più evidenti che emergono dalla trasformazione di Sul Romanzo c'è la creazione di una vera e propria agenzia letteraria. Come puoi ben immaginare per i lettori di Blogolonelbuio si tratta di un argomento piuttosto interessante. Ti va di parlamene più in dettaglio? Come funziona la valutazione dei manoscritti? Che costo ha il servizio? Immagino abbiate messo in piedi canali privilegiati con diversi editori, ti va di fare qualche nome? Avete già scovato qualche titolo interessante?

L’agenzia letteraria confluisce nel progetto per consentire uno sviluppo ulteriore di Sul Romanzo. Si sono riunite persone e competenze per fornire ai clienti servizi professionali che possano nel tempo essere apprezzati per la serietà e la qualità. La valutazione dei manoscritti segue due strade: una scheda valutativa appunto o una rappresentanza, sono modalità diverse e non una propedeutica all’altra, dipende dalle necessità. I prezzi sono ben esplicitati nelle singole sezioni del sito, abbiamo cercato di stare sul mercato con prezzi vantaggiosi e consapevoli al medesimo tempo che più professionalità significa più costi per l’agenzia. Poi c’è chi fornisce i medesimi servizi a metà prezzo, ma ci si chiede con serietà come si possa rispettare il cliente prendendolo in giro. Ma comprendo che siamo nel libero mercato, e va benissimo così.
Sì, abbiamo canali preferenziali, quasi una ventina per la precisione, case editrici piccole, medie e grandi. I nomi li faremo appena avremo pubblicazioni eseguite, mi sembra corretto parlare con i fatti su questo, non con le potenzialità.
Titoli interessanti? Uno mi sembra che abbia ottime carte da giocare.

Più in generale, chi sono i tuoi collaboratori? Come funziona il lavoro di redazione? In che modo vi coordinate?

I miei collaboratori sono persone già legate precedentemente alle attività di Sul Romanzo e alcuni esterni. Il lavoro di redazione finora è stato sempre verticistico, di cui io rappresento la punta della piramide organizzativa. Grazie a una miriade di contatti continui stiamo cercando di costruire una struttura più consona a una piccola attività che sta diventando un progetto con diverse anime, quindi con più ruoli e responsabilità. Una cosa è fidarsi umanamente e senza troppi pensieri d’una persona, un’altra cosa è fidarsi aggiungendo ragioni economiche, organizzative, professionali, un terreno su cui è necessario considerare altri elementi, a volte con severità, senza farsi prendere da schemi troppo bonari, e pensando al futuro di Sul Romanzo, al suo bene, alla sua potenzialità che può e deve essere ricercata con passione e impegno.

Progetti futuri? Dobbiamo aspettarci altre novità?

Se guardo il presente mi sento di dire che la soddisfazione sta crescendo, vi sono certamente aspetti da migliorare, errori da comprendere e fiducia mal ripagata da accettare in qualche caso, ma questo mi sprona, ci sprona, mi e ci permette di considerare Sul Romanzo un’attività sulla quale investire parte del proprio tempo libero con speranza. Vi sono progetti futuri, alcuni diventeranno realtà nei prossimi mesi, intanto ci concentriamo su quanto abbiamo di fronte agli occhi, già siamo contenti.

martedì 18 gennaio 2011

Racconto: Mussolini - di Valerio Varesi

Oggi inserisco un racconto inviatomi da Valerio Varesi che ringrazio davvero di cuore per la sua disponibilità. Si tratta a mio modesto avviso di una storia dall'intensità straordinaria (per non parlare di quanto alcune osservazioni siano in queste ore più attuali che mai).
Valerio non ha certo bisogno di presentazioni. Dovendo immaginare una classifica italiana credo sia il mio autore noir preferito, ed è per questo che sono particolarmente contento di essere riuscito a portare qui su Blogolonelbuio un suo contributo.
 


MUSSOLINI



Del fatto di Bocchi se ne parlava ancora dopo molti anni e ce n’erano più versioni che carte da gioco. Siccome tutti lo raccontavano alla loro maniera, in definitiva non ci si capiva più niente. Osvaldo che si era preso la colpa, uscito di galera se n’era andato nel modenese a lavorare alle ceramiche e nessuno l’aveva più visto. I suoi compagni non ne vollero mai sapere di parlare e anche loro si persero per strade differenti. Nemmeno si era più ucciso il maiale tutti assieme, visto che la cooperativa aveva messo su il macello ed era più comodo portare la bestia lì, pagare il fio, e ritirare poi la roba bell’e fatta. Ma ogni tanto qualcuno tirava fuori Bocchi anche per un semplice paragone. L’hanno infilzato come Bocchi… C’ha più buchi di Bocchi… Si faceva presto a tornare sull’argomento. Ci si scherzava e ormai si inventavano fole apposta. Ma una sera che Zurlini l’aveva sparata più grossa, era saltato su Ottorino e gli aveva fatto la ramanzina. Dopotutto, in quella storia, uno ci aveva rimesso la ghirba e in tanti si erano rovinati. Lui la conosceva bene perché suo zio era uno di quelli che c’erano e l’avevano anche chiamato a testimoniare al processo. Però la verità non si era saputa del tutto neanche lì perché c’entravano un mucchio di cose: la politica, le donne, vecchie rogne e i rancori che si tira dietro la guerra. Detto questo, Ottorino si era preso una pausa per buttare giù un altro bicchiere prima di stupire tutti dicendo: “La faccenda è cominciata quando hanno ucciso Mussolini”.

Qualcuno l’aveva mandato a cagare tra i tavoli del bar dell’Orietta. Mica potevano ricordare tutti Mussolini. I più vecchi, forse. Sta di fatto che Mussolini era il maiale nero più bello che avessero mai macellato in val Termina. Baldo l’aveva comprato alla fiera di San Rocco a fine estate, tirandolo fuori da una nidiata di dieci perché già da piccolo comandava su tutti. Quindi l’aveva lasciato arare col grugno in lungo e in largo il bosco di Villanuova che aveva sotto una spanna di ghianda e Mussolini era ingrassato come una camera d’aria. A San Martino, quando i norcini avevano da girare più dei cani da caccia, Baldo non si decideva ancora dopo diciotto mesi di pastura. Pensava di tirarlo fino alla soglia dei due quintali e s’immaginava continuamente il grasso profumato che si andava ispessendo, la carne che cresceva. Calcolava a occhio il numero di bondiole, salami e soppressate che si sarebbero ottenute e ogni volta concedeva un’altra settimana di vita a Mussolini. E poi c’era l’orgoglio di avere una bestia così. I negozianti l’avrebbero comprato seduta stante e ogni tanto ci provavano venendo a vederlo e facendolo prillare a pacche nel culo per guardarlo meglio finché non si ribellava e cominciava a girare in tondo col suo verso stridulo.

“Veh, Mussolini…”

Dall’Orietta non si sentivano nemmeno più le carte cadere sui tavoli.

“Ma Baldo era fascista?” chiese il commesso del consorzio agrario che era venuto a stare in paese da poco. Gli rispose una risata.

Baldo era stato partigiano nel distaccamento don Pasquino della quarantasettesima Garibaldi comandato da Osvaldo. Comunista da sempre. Come gli altri che erano lì quel giorno e mica potevano immaginare che i norcini si tirassero dietro uno di fuorivia più giovane, uno di Corniglio che aveva trafficato con la brigata nera. E poi, nel ’52, le passioni erano ancora carne viva e in molti c’avevano i moschetti pronti in solaio. Togliatti infiammava le piazze e la polizia fascista faceva macelli. C’era poco da ridere, allora.

Fatto sta che Baldo aveva chiamato il maiale Mussolini in spregio al duce. “Un nimel cmè lu”, un maiale come lui, diceva ammirandolo. Più s’ingrossava, più diventava forte, più si mostrava prepotente nello stabbio, più c’era gusto ad ammazzarlo. Anche se la faccenda andava per le lunghe e ormai stava arrivando la fine di novembre con la neve che era già venuta a sporcare le strade un paio di volte senza fermarsi.

“E’ proprio il ritratto del duce” diceva Baldo agli altri. “C’ha la testa grossa come lui”.

“Testa di cazzo” sibilava Guarnieri che era il più incarognito di tutti per via del padre ammazzato dai fascisti.

“Ho sempre detto che è una storia di politica” alzò la voce Rocchi. “Una storia tutta politica” ribadì.

Ottorino scosse la testa.

“Le cose non hanno mai un verso solo” borbottò. “Nei temporali, a far danno, non c’è solo l’acqua…”

“Sto con quello che è saltato fuori al processo” ribadì Rocchi.

“I processi non la raccontano mai tutta. Prendono una piega e ci vanno dietro: è più comodo” ribatté Ottorino con scetticismo. “Non hanno parlato di quella storia di donne…”

Se ne parlava nelle osterie anche il alta val Parma, ma più che altro erano pettegolezzi, sussurri. Però di quelli insistenti come la musica dell’organino della sagra. Quando Bocchi era stato ammazzato sotto il portico di Baldo e le chiacchiere avevano cominciato a girare, si diceva che Osvaldo s’era presa una colpa non sua e che c’entravano la politica e le donne. Poi, dal modo in cui era stato ammazzato, si capiva che tutto quello non bastava e che in mezzo dovevano esserci state anche altre rogne rimaste a lungo a covare. Bocchi, infatti, sembrava un San Sebastiano. Gli avevano trovato almeno una ventina di buchi fatti con l’osso del cavallo che serve per annusare i prosciutti stagionati, tanto che sembrava l’avessero davvero saggiato da capo a piedi. Il colpo mortale, però, ce l’aveva nel petto: una pugnalata vera, di coltello, dritta al cuore come avevano fatto con Mussolini e tutti i maiali passati all’arma bianca dei norcini.

Parlandone a babbo morto, va detto che Bocchi se l’era un po’ cercata. Se vai a macellare un maiale a casa dei comunisti nel ’52, e c’hai un passato nero, come minimo te ne stai zitto. Ma Bocchi era così, uno che non si rassegnava al fatto del tempo. O forse c’era andato apposta. Qualcuno la chiamava fedeltà, altri idiozia. Certo non era stata una gran mossa quella di far l’offeso e parlare a mezza voce quando a Mussolini era toccato di morire gemendo. Già gli altri l’avevano fiutato molto prima, quando Osvaldo aveva cominciato a tirare madonne rivolgendosi al maiale con un mucchio di frasi feroci.

“Adesso ti impicchiamo per i piedi Mussolini… Qui è come in piazzale Loreto… Spezziamo le reni al testone… Stasera ci mangiamo il tuo sangue fritto… In culo alla brigata nera!”

A Bocchi erano già scappate due o tre parole che erano finite negli orecchi di Guarnieri.

“Te, mi stai andando su per una braga” gli aveva detto con un ringhio. Ma poi la cosa era finita lì perché Mussolini aveva cominciato a strepitare sul prato quando Baldo l’aveva preso per le orecchie e gli gridava: “Sta fermo rotto in culo d’un duce!” mentre “al long”, Brighenti, un norcino alto con la faccia triste di Manolete e la sigaretta Alfa che gli pendeva perennemente da un angolo della bocca, infilava l’uncino in gola alla bestia che strillava come un perno grippato tirando indietro, tanto che “al long” si era piegato tutto come un ramo di salice.

L’altro norcino, Brenno Casoni detto “puleggia” perché era tondo e rapido che sembrava il volando della trebbiatrice, gli aveva alzata la zampa anteriore destra e gli aveva infilato sotto il lungo coltello “corador” fino al cuore. Mussolini era crollato immediatamente sul grasso della pancia. L’avevano lasciato per un po’ a sbattersi sull’erba guazza in un laido coro di insulti e di cancheri rabbiosi.

“Crepa Mussolini!” gridavano contro il povero maiale preso a metafora.

Bocchi era rimasto zitto anche al momento di tagliare le mezzene. Li aveva lasciati sfogare nell’aia, tra vino e sangue che avevano lo stesso colore. La bestia era stata impiccata per i piedi ai pioli dello scalone del fienile, poi squartata e sgozzata affinché il sangue colasse tutto dentro il paiolo di rame. Quindi era stata svuotata delle interiora che sarebbero servite per la trippa e per contenere la carne dei salami, poi erano stati tolti gli altri organi. Baldo aveva sollevato il fegato: “Stasira eg magnema al fideg!” Stasera gli mangiamo il fegato. A Mussolini, quell’altro, naturalmente.

Bocchi aveva incassato in silenzio. Si sentiva già un sorvegliato speciale e gli sguardi lo tenevano sotto tiro come carabine. Così avevano tagliato il maiale, che della bestia non si buttava via niente. Neanche le ossa, prima leccate ben bene dai cani e poi vendute a uno che andava di aia in aia a raccoglierle per farci il concime.

Sul bancone si erano così accumulati i pezzi nobili e le frattaglie: i salami fatti coi ritagli pregiati, la coppa col sopraspalla, la pancetta con la parte più grassa sottopelle, la soppressata con gli scarti più grassi cotti fino a scindere lo strutto e soprattutto i prosciutti con le cosce rifilate e guarnite di sugna. Era stato allora che tutto era precipitato. Guarnieri li aveva sollevati come trofei e aveva esclamato: “Guardateli, non sembrano Mussolini e la Petacci?”

Non era chiaro quello che aveva detto Bocchi in quel momento. Al processo era saltato fuori solo che si trattava di un grave insulto, ma le testimonianze furono molto confuse. Certo è che doveva essere qualcosa di parecchio offensivo se anche il collegio giudicante di una magistratura in larga parte rimasta di fede fascista, aveva riconosciuto a Osvaldo l’attenuante della provocazione. Pare che Bocchi avesse sibilato: “Cla vaca ed vostra medra”, quella vacca di vostra madre.

Da qui in poi ci si deve accontentare del racconto di Osvaldo che risulta agli atti del processo a cui, peraltro, nessuno crede. Osvaldo era il più vecchio e il capo partigiano che comandava tutti i protagonisti di questa storia. Si dice che lui, essendo stato a lungo il responsabile in tempo di guerra, si fosse preso la colpa con lo stesso spirito di quando combatteva la brigata nera e quelli della “Hermann Goering”. Ebbene, Osvaldo aveva detto al giudice, in una confessione somigliante a un comizio, che Bocchi, dopo tutte le schifezze commesse dai suoi camerati, li aveva insopportabilmente insultati sfidandoli. E che lui, testimone solo pochi anni prima delle torture e degli assassini subiti dai compagni, non poteva sopportarlo. Così aveva preso la tibia del cavallo che serve per annusare i prosciutti stagionati dicendo a Bocchi che avrebbe nasato quel che aveva dentro e che, stando a ciò che pareva da fuori, doveva aver solo un mucchio di merda. Osvaldo l’aveva inchiodato per una ventina di volte e alla fine, ormai cieco d’ira, l’aveva “corato” come era appena accaduto con Mussolini. Di più non gli era uscito di bocca. I giudici provarono anche a incriminarlo per autocalunnia, ma alla fine non saltò fuori nient’altro che quel suo racconto e si decisero così a condannarlo. Lui, del resto, era andato incontro al suo destino con fierezza. Alcuni dicevano con la stupidità della disciplina comunista.

Anche il caso si era messo in mezzo e aveva fatto deflagrare la lite. Quell’insulto sfuggito a mezza voce, Bocchi che quel giorno doveva essere da un’altra parte, quella combriccola di bolscevichi che non si aspettavano di avere un fascista tra i piedi e soprattutto quei due prosciutti: Mussolini e la Petacci. Le donne… In questa storia c’entravano più della politica, secondo alcune voci. Anch’esse partivano da Osvaldo, dalla sua passione per il ballo, forte come quella per la bandiera rossa e lo sten. Girava tutte le feste paesane, estate e inverno e spesso lo si vedeva su a Corniglio anche con la neve alta fino alle orecchie. Di donne ne aveva sempre, anche di giovani. Con loro era deciso, determinato come in battaglia e raramente gliene scappava una. Compresa la moglie di Bocchi di cui si diceva che avesse mordente da vendere e, come trivialmente si sussurrava in val Parma, le piacesse molto “mettere il duce a villa Torlonia”.

Osvaldo con donne così, ci andava matto e se c’era da battagliare, non si tirava indietro. Con la moglie di Bocchi pareva avesse battagliato spesso fino a un po’ di tempo prima del fatto. Anche in questo caso c’era di mezzo un maiale. O meglio, una “sana”, una maiala che non figliava più e siccome era di razza nera anche lei, l’avevano chiamata proprio Petacci.

Quella di dare ai maiali nomi di fascisti era una consuetudine nelle valli dell’Appennino dove la guerra aveva seminato più morti. Era rimasta nell’aria una minacciosa ansia di vendetta che si sfogava nel rito cruento della macellazione. Ma nel caso della Petacci la rivalsa aveva preso un’altra strada. La bestia aveva due cosce che pesavano quattordici chili l’una appena staccate e tutti dicevano che sarebbero diventate prosciutti memorabili. “Il long” e “Puleggia” le avevano salate e lasciate per due settimane sulle assi ad assorbire la concia, poi erano tornati per valutare quanto sale si era sciolto nella carne e le avevano fatte attaccare ai travetti della cucina perché asciugassero. A metà inverno erano state trasferite in camera da letto al freddo asciutto, sopra il comò con le foto di famiglia e a primavera, col sole di marzo, esposte al sole nelle ore calde al riparo dalle arie cattive della Bassa. Ogni tanto Osvaldo saliva a tastarle, le annusava, le spiccava dal chiodo e le soppesava con voluttà sensuale. Erano davvero un paio di prosciutti straordinari e la sera si addormentava nel loro profumo sognando feste paesane dove si mangiava e beveva e c’erano donne allegre. In uno di questi sogni era comparsa la moglie di Bocchi e gli era subito piaciuta tanto che al mattino s’era svegliato invaghito.

Il marito, mica l’aveva mai visto. Lui non frequentava le balere. La moglie, invece, era una indiavolata e quando gli era capitata tra le braccia in una mazurca, aveva sentito che aveva il fuoco dentro. Si erano dati appuntamento ed era nata una relazione fatta di incontri sotto il portico, dentro cantine nell’odore del mosto, contro i pilastri delle barchesse o tra i filari nella bella stagione. E intanto i prosciutti compivano l’anno della maturazione, ma Osvaldo aspettava. Era un uomo paziente. Diceva che coi salumi e le donne ci vuole pazienza per ricavare il massimo. Così erano arrivati i diciotto mesi e Mussolini già scorrazzava nel bosco di Villanuova da lattonzolo. Una sera Osvaldo aveva deciso.

“Vendo un prosciutto e metto a mano l’altro” annunciò.

Ma il bello era che l’avrebbe venduto proprio alla moglie di Bocchi. L’idea era spuntata quando lei gli aveva confidato che alle elezioni il marito metteva la croce sulla fiamma del Movimento sociale italiano.

“Sarà costretto a ingoiarsela” aveva detto Osvaldo allusivo e ambiguo.

Detto fatto, si era messo in testa di vendergli il prosciutto della maiala Petacci così avrebbe dovuto ingoiarsela davvero. Ma non la croce sulla fiamma tricolore, bensì nientemeno che la morosa del duce.

“Oltre a scopargli la moglie, gli facciamo ingoiare fetta dopo fetta la sua anima nera” aveva concluso Osvaldo una sera a un tavolo dall’Orietta.

Di faccia, questo Bocchi, non l’aveva mai visto e non gliene fregava molto di incontrarlo. Gli bastava sapere che era un fascista per provare una perfida soddisfazione. Ma poi le voci, nelle valli dove tutti si conoscono, sono incontenibili e passano sottotraccia come le vene d’acqua nella terra. Di Osvaldo e della moglie di Bocchi s’era saputo in giro e si diceva che Corniglio non fosse più un posto raccomandabile. C’era persino chi diceva che il cornuto aveva organizzato una pattuglia di vecchi camerati per vendicarsi. Osvaldo non aveva paura, non ne aveva avuta nemmeno delle SS, ma forse si era stancato di suo e quella donna non gli andava più bene. Si diceva che ne avesse per mano un’altra, giù a Langhirano, che gli aveva fatto passare la smania per la moglie di Bocchi.

Fatto sta che a Corniglio non ci era più andato, ma era venuto Bocchi da lui. Senza conoscersi prima, si erano incontrati davanti alla mole imponente di Mussolini.

E’ impossibile sapere se Bocchi si fosse aggregato ai norcini apposta rinunciando a un altro lavoro. In tanti dicono di sì, che voleva prendere le misure a chi gli aveva affibbiato il marchio d’infamia del cornuto e di quello che si era mangiato la Petacci. Certo doveva sentirsi un uomo morto quando aveva scoperto che la derisione fa più danni delle pistole. E proprio per quello voleva forse lavarsi via l’onta dimostrando il coraggio di sfidare il rivale in casa sua, in quella specie di comitato centrale riunito apposta il giorno dell’esecuzione di Mussolini. Altri ipotizzano che volesse far fuori Osvaldo davanti a tutti con un gesto clamoroso di quelli che finiscono sul giornale, che poi i camerati l’avrebbero ricordato per sempre. Ma era andata diversamente e nessuno avrebbe scommesso su quell’ipotesi. Le uniche cose certe erano la morte di Bocchi e la sentenza del processo: nient’altro.

Ragionando di chiacchiere, invece, ci sarebbe anche la storia della roba. Di quella non si era saputo subito anche perché Guarnieri si guardò bene dal raccontarla. L’aveva scoperta uno dei negozianti che giravano per le valli a commerciare bestie: Guarnieri e Bocchi erano mezzi parenti e avevano battagliato per un pezzo di terra e un bosco ad Albazzano. Vecchi contrasti deflagrati di fronte al notaio e poi in schermaglie tra avvocati. Alla fine l’aveva avuta vinta la parte di Bocchi che si era presa tutto, a detta di Guarnieri comprando il giudice. E come poteva, un magistrato di fede fascista, dare torto a un camerata iscritto al partito? Così Guarnieri si era scornato, ma gli era rimasta dentro la rabbia che lui aveva sfogato in val d’Enza e in val Termina prendendo a schioppettate le camice nere. Anche dopo il 25 aprile avrebbe voluto continuare a “pulire casa”, come diceva spesso, tanto che più volte Osvaldo l’aveva richiamato alla prudenza e alla disciplina per evitare che facesse stupidate. Chi l’ha conosciuto, infatti, giura che a tirare la coltellata al cuore di Bocchi sia stato proprio lui. Anche ai carabinieri era parso subito strano quel corpo forato in tante parti da colpi non mortali e poi finito da una coltellata decisa, inequivocabilmente tirata per uccidere. Un cambio d’arma che suggeriva l’idea di due differenti volontà, di due rabbie di diversa misura.

Osvaldo aveva preso fin dall’inizio sotto tutela quel ragazzo coraggioso ma irriflessivo e, si diceva, che anche quella volta l’avesse coperto tirandosi addosso la colpa. Lui non era vecchio, ma ne aveva già viste abbastanza. L’altro sembrava ancora nuovo al mondo, aveva due figli piccoli e forse, agli occhi di Osvaldo, doveva apparirgli lui stesso come un figlio. Quello che forse aveva voluto ma che la guerra e il tempo speso in politica gli avevano impedito di avere. Comunque, nessuno può sapere se questa storia c’entra davvero col fatto di Bocchi. Che c’entri o no, c’è e ne va tenuto conto. Come del fatto che anche fra compagni bollissero vecchie rogne per la ragione che Osvaldo, a un certo punto, aveva manifestato simpatie per Bordiga e la cosa non era andata giù alla federazione provinciale. Si diceva che fosse caduto in disgrazia, ma che rappresentasse una figura troppo importante per essere tolta di mezzo facilmente, con un semplice procedimento. D’altro canto, proprio per il suo ascendente, Osvaldo stava diventando troppo pericoloso. Insomma, c’era chi dietro il fatto di Bocchi aveva visto una macchinazione politica per tagliare fuori il vecchio comandante partigiano. La pugnalata al cuore del fascista era stata una pugnalata anche a lui perché era finito in galera, lontano dai giochi negli anni migliori e quando era uscito la partita non aveva più storia. Ecco perché si era andato a seppellire nella Bassa modenese a inscatolare mattonelle, laddove non sapevano molto di lui ed era semplicemente “al pramsan”, il parmigiano.

Che poi fosse stato proprio Guarnieri a tradirlo in quel modo, facendo trascendere una lite o avviandola di proposito sapendo che Osvaldo sarebbe stato il principale sospettato per fatti privati e anzianità politica, sembrava paradossale, ma forse per questo la gente vi attribuiva credito. Da che mondo è mondo, tutti credono più alle favole che alle verità. Specie quando i protagonisti si dileguano lasciando solo una scia di ombre. Anche Ottorino, che pur ha sentito spesso lo zio parlare del fatto di Bocchi, ha la testa confusa e non sa più distinguere nettamente i fatti dall’esorbitante invenzione che si sono tirati dietro. Dopo la ramanzina a Zurlini dall’Orietta, anche lui non ha più voluto parlare di quella storia. Assiste indifferente al racconto della vicenda e al suo trasformarsi progressivo senza più reagire, arreso di fronte all’ineluttabile. Del resto era tutto scritto fin dall’inizio. Non era una finzione, una truce rappresentazione, quel maiale nero ammazzato sull’aia di Baldo? Mussolini. Tutto era cominciato il giorno che Baldo aveva detto: “Domani ammazziamo Mussolini”.

 
Si ringrazia la regione Emilia Romagna per la gentile concessione del racconto 'Mussolini' pubblicato nella raccolta 'Il gusto del delitto' edita nel 2008 da 'Leonardo publishing'.

giovedì 13 gennaio 2011

Intervista a Sandrone Dazieri - "Esordite da soli e poi cercatevi un agente"

Come promesso inserisco l'intervista fatta pochi giorni fa a Sandrone Dazieri. Scrittore, sceneggiatore, consulente editoriale, Sandro è da sempre vicino ai giovani scrittori e risulta dunque molto importante, per me, la sua presenza attiva in questo piccolo Blogolo.

 
Allora, Blogolo si occupa in modo particolare di esordi e di esordienti, vorrei dunque chiederti di parlarmi un po' dei tuoi inizi, se non erro l'editore del tuo primo romanzo dovrebbe essere Castelvecchi, giusto? Come l'hai convinto a pubblicarti? Credi che il percorso da te intrapreso sia percorribile ancora oggi?

Allora. Quello di Castelvecchi era un saggio sull'underground italiano, Italia Overground. Non fui io a proporlo a Castelvecchi, ma fu uno dei collaboratori di Castelvecchi a propormelo, Sergio Bianchi. Me lo propose perché sapeva che ero un attivista dei centri sociali e che qualche volta il Manifesto ospitava i miei interventi sull'argomento e sulla narativa di genere. Ai tempi, la controcultura aveva forti connessioni con la fantascienza, anche se oggi può stupire. Si parlava delle possibilità delle reti, si discuteva di cyberpunk, un collettivo bolognese prendeva il nome da Transmaniacon, un romanzo di fantascienza di John Shirley. Un paio di anni dopo questo saggio fui contattato da Valerio Evangelisti per pubblicare un racconto in un'antologia dedicata al fantastico, dal titolo Tutti i denti del mostro sono perfetti. La sua idea era quella di affiancare a scrittori professionisti anche dilettanti che però avessero una certa passione per il genere e che lo prendessero, diciamo così, da un'angolazione "alternativa". L'antologia fu pubblicata da Mondadori. Entrai in contatto con Mondadori, cui proposi il mio primo romanzo, Attenti al Gorilla, che è uscito per il Giallo Mondadori. Il Giallo Mondadori, per quanto prestigioso, va ricordato che non è una collana da libreria, ma da edicola. Un periodico. L'approccio vero e proprio alla libreria l'ho avuto solo due anni dopo, quando il giallo è stato ripubblicato negli Oscar perché aveva avuto un buon successo di critica, anche se non di vendite. Questi i miei esordi, quindi, e credo che il percorso da me fatto sia quello ancora preferibile per tutti gli esordienti. Ovvero approfondire le proprie passioni e cominciare dal piccolo. Non sono partito proponendo un romanzo a una major, sono partito scrivendo articoli, poi pubblicando qualcosa di molto personale con una piccola casa editrice di qualità, poi provando con un racconto... Insomma, ho fatto una gavetta lunga, alla quale vanno aggiunti sei anni circa come correttore di bozze per riviste televisive che mi hanno dato le basi della punteggiatura e della grammatica.

Una delle idee per cui nasce Blogolonelbuio è quella di offrire uno spazio ai nuovi scrittori italiani (bravi!) che ronzano attorno ai circuiti indipendenti. Tu che impressione hai di questa nuova generazione di scrittori? Ne segui qualcuno in particolare? Da talent scout ne hai lanciato qualcuno?

Sto aspettando qualcosa che davvero mi stupisca tra le nuovissime leve del noir, che mi sembrano un po' adagiate su modelli classici o derivativi, mentre nell'horror e nel fantastico in generale sto leggendo cose interessanti. Non faccio nomi perché mi sono dato la regola di non recensire mai libri altrui, proprio perché collaboro con case editrici e conosco un sacco di scrittori, e passerei per poco obiettivo. Di solito parlo solo di autori che pubblico direttamente, specificando che, appunto, li sto pubblicando io, quindi quello che dico va preso con beneficio di inventario. Ovviamente a me sono piaciuti, ma nessuno può credere che io sia neutro nei loro confronti. Di autori ne ho lanciati molti in varie collane, anche per ragazzi e giovani adulti. Non faccio nomi perché rischio di dimenticarne qualcuno e poi perché il lavoro dell'editor è qualcosa che giustamente deve stare dietro le quinte.

Hai lavorato per molto tempo nella redazione Mondadori (hai diretto i Gialli e la collana ragazzi). Come si lavora all'interno di una casa editrice così grande? Come si svolgevano la tue giornate?

I Ragazzi non sono una collana ma una divisione della Mondadori ed è stato il lavoro più di responsabilità che ho avuto in ambito editoriale. Le giornate di un editore sono infinite, nel senso che ti porti il lavoro a casa e nei weekend. Comunque, la giornata tipica era quella di andare in ufficio la mattina e uscirne la sera, leggendo manoscritti (la parte minore del lavoro), scrivendo quarte di copertina, decidendo uscite, discutendo con i grafici per le copertine, parlando con traduttori, revisori, uomini marketing, altri direttori... E' un lavoro di squadra. Ma la parte più importante era quella del rapporto con gli autori, che giustamente vedono nel direttore il punto di riferimento. Parli di progetti nuovi, gli racconti come vanno le vendite, li presenti...

Oggi hai scelto di essere scrittore a tempo pieno. E' dunque possibile in Italia vivere dignitosamente con i proventi della propria scrittura?


Dipende dove si colloca il tuo livello di dignitoso e quanto vendi. Io campo soprattutto di scrittura, ma non solo di romanzi. Scrivo per il cinema e per la televisione. Poi mantengo una collaborazione con Mondadori, come editor esterno. Ma i calcoli si fanno presto. Un autore riceve mediamente da uno a due euro per copia di romanzo venduto (in hard cover, la metà o anche meno nel paperback). Con diecimila copie ha quindi l'equivalente del salario di un operaio senza contributi, con 20 mila quelle di un operaio specializzato più contributi, con trentamila di un quadro... Lo svantaggio è che non hai sicurezze: se non vendi non mangi. Il vantaggio è che non hai padroni e ti puoi alzare senza mettere la sveglia. Teoricamente, perché quasi tutti i colleghi che conosco lavorano come dei muli.

Hai un agente che ti rappresenta? Cosa pensi delle agenzie letterarie?


Sì, l'agenzia letteraria Grandi e Associati, poi l'Avvocato Minutillo per il cinema e la televisione. Le agenzie letterarie per un professionista sono fondamentali, per gestire il rapporto con gli editori, che sono quelli che comprano il tuo lavoro, per sostenerti quando sei in crisi (ma qui dipende dai rapporti), per farti pagare eccetera. Per un esordiente sono per lo più una perdita di tempo. O meglio. Se l'esordiente ha scritto un capolavoro, l'agente può strappare un buon prezzo, ma per capirlo l'agente deve leggerlo, e per leggerlo deve avere il tempo e normalmente il tempo lo trova se pensa che non lo sta sprecando. E' un gatto che si morde la coda, ma il tempo non è espandibile a piacimento. Io ho preso un agente solo dopo aver pubblicato il primo romanzo e con una proposta per un secondo. Consiglio di fare così: esordire da soli e poi farsi rappresentare.

Mi parli un po' di La bellezza è un malinteso, il tuo ultimo libro (Strade Blu - Mondadori). 


E' l'ultimo romanzo della serie del Gorilla. E' invecchiato con me, ha fatto tutto quello che doveva fare e doveva chiudere il suo ciclo. Come dico sempre, la serie del Gorilla non è una serie, ma un unico romanzo diviso a puntate, con il sapore che varia dall'allegro scanzonato del primo al dramma dell'ultimo. Che parla del furto di un'opera d'arte di Damien Hirst e della scia di sangue che ne consegue. Con la Bellezza volevo violare l'ultima regola del giallo che mi rimaneva da violare: la regola numero uno. Quella che dice: un giallo ruota attorno a un omicidio. Il mio giallo ruota attorno a un suicidio, che sin dall'inizio sai che è un suicidio. Il primo morto ammazzato arriva a metà, e solo perché dovevo per forza mettercelo, altrimenti lo avrei evitato. Molti lettori sono rimasti sconcertati dalla scelta, ed era quello che volevo. Il giallo con l'investigatore che si sveglia la mattina e va a risolvere un caso non mi ha mai interessato molto. Comunque sono contento perché il Gorilla, per lo meno, ha chiuso in Bellezza (ehm ehm, la vera ragione del titolo). Adesso rimane dentro di me e io dentro di lui.

Progetti futuri?


Il nuovo romanzo che sto scrivendo, e che spero di pubblicare a fine anno. Un paio di serie televisive che sto scrivendo. Per rimanere aggiornati consiglio di fare sempre un giro sul mio blog: http://sandronedazieri.nova100.ilsole24ore.com/



Grazie mille Sandro per la tua disponibilità.
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