di Enrico Piscitelli
[Mi piacerebbe che questo intervento sulla distribuzione fosse letto tenendo d'occhio questo intervento di Vincenzo Ostuni sulla qualità nell'editoria, ecc. a. i.]
Enrico Piscitelli
Qualche tempo fa, Andrea Inglese ha pubblicato su Alfabeta2 una mia piccola nota, sulla situazione attuale della narrativa italiana – non di major. Scrivevo, in quella nota: “la narrativa italiana ha un riscontro bassissimo. Al momento, il più basso degli ultimi anni. I librai prenotano pochissime copie dei libri di narrativa. Non si fidano. Sanno, o qualcuno ha detto loro, che venderanno solo un piccolissimo numero di romanzi italiani, e solo di alcuni autori. Qui stiamo parlando di numeri così bassi, che cinquecento copie vendute di un libro di una piccola casa editrice, sono un successo clamoroso, roba da brindare col prosecco”.
Questa nota è stata ripubblicata da molti. Per esempio da Loredana Lipperini, nel suo blog. Lì, nei commenti, Federico Guglielmi (Wu Ming 4), scrive: “quanto all’intervento di cui sopra, non mi sembra (più) vero che nessuno scrive questa verità. Forse non è sbandierata a titoli cubitali sui giornali, ma in realtà è risaputa e sotto gli occhi di tutti”. Ma, soprattutto, Guglielmi si chiede cosa fare e come agire. Domande impegnative, e importanti. Senza dubbio.
Nicola Lagioia, invece, sempre negli stessi commenti, scrive: “tra le altre cose, lavoro da anni come editor in una piccola casa editrice, e cioè minimum fax e – dati alla mano – i numeri non sono quelli di Piscitelli. Quando vendiamo 500 copie di un esordiente, non brindiamo a champagne e nemmeno a prosecco, ci chiediamo in cosa abbiamo sbagliato, visto che nel libro mandato in libreria credevamo tutti”. Ma Minimum fax è, davvero, una piccola casa editrice? Spulciando il suo catalogo, si può vedere che ha pubblicato nel 2010 quarantatré titoli, in dieci collane. Quella di narrativa italiana, però, Nichel – diretta da Lagioia – pubblica solo sei libri all’anno. Sei libri su quarantatré. Dovrebbe far riflettere anche questo, secondo me.
Anche Mauro Baldrati ha ripreso il mio pezzo, su Nazione indiana: “come uscire dal Grande Terrore?”, scrive Mauro, “non facciamoci illusioni. Noi, e i nostri figli, non rivedremo le grandi pianure d’Africa di nuovo popolate di elefanti, leoni, rinoceronti e gazzelle che vivono in armonia con l’ambiente. Forse però continueremo a vederli nelle riserve e nei parchi naturali. Il Grande Terrore può causare l’estinzione della letteratura”. Baldrati invita a ragionare sui meccanismi della distribuzione, e prende come esempio Senzapatria, editore che si è inventato una modalità nuova di vendere i suoi libri.
Ecco, ha ragione Baldrati: è davvero il caso di esaminare questi meccanismi. O di provarci, almeno.
Il mercato del libro in Italia vede sempre più il predominio di posizioni consolidate e dominanti. I principali attori sono presenti in tutta la filiera. Ovvero, fanno tutto: sono editori, stampatori, distribuori, promotori, librai. Prendiamo, per esempio, il gruppo Mondadori, l’azienda più grande nel settore editoriale. Mondadori possiede i marchi Mondadori, Einaudi, Sperling & Kupfer, Electa, Piemme, Harmony, EL, Frassinelli. Come distributore opera la Distribuzione Libri Mondadori, che distribuisce, oltre ai libri delle case editrici del gruppo, altri editori di primo piano come Rai-Eri, e Baldini Castoldi Dalai. Per la vendita diretta esistono nove Mondadori Multicenter (megastore), e 16 librerie Mondadori, di proprietà del gruppo, oltre a centinaia di punti vendita in franchising. Il gruppo Mondadori ha anche un suo sito di vendita on-line di libri e prodotti media, BookOnLine (BOL). A tutto questo, vanno aggiunti Mondolibri-Club degli Editori (di cui fanno parte, fra gli altri: Ok Musica, Junior Club, e Euroclub) e Piemme direct, che operano nelle vendite per corrispondenza tramite catalogo.
Mondadori, insomma, è in grado di riempire un’intera libreria. Anche con buoni libri, fra l’altro – basti pensare al catalogo Einaudi.
Ora, immaginiamo di voler creare una casa editrice. Secondo NielsenBookScan, nel 2009 l’on-line aveva una quota di mercato del 3,5 percento. Questo vuol dire che tutti gli altri libri – il 96,5 percento – si vendono ancora attraverso i canali di vendita “tradizionali”: librerie, di catena e indipendenti, edicole, grande distribuzione organizzata. E arrivare in libreria è difficile. Servono un distributore e un promotore. Il primo è quello che ha, fisicamente, gli scatoloni con i libri della nostra, ipotetica, nuova casa editrice. Il secondo, il promotore, convincerà il libraio a prendere – e si spera: vendere – i nostri libri. In alcuni casi i due ruoli coincidono, e alcuni distributori hanno anche una propria rete di agenti librari.
Per esempio, sul sito di Dehoniana Libri – un distributore meno noto di Messaggerie, Cda, Pde o Nda, ma anche parecchio efficiente – si legge: “la promozione degli editori rappresentati avviene attraverso una propria rete costituita da 18 agenti, coordinati da un Responsabile della rete promozionale coadiuvato da due Capi area (Nord e Centro/Sud). Secondo un calendario prestabilito nel corso dell’anno, sono previste visite periodiche alle librerie per la presentazione delle novità annunciate dall’Editore, delle strenne, delle riproposte di catalogo e delle iniziative promozionali concordate, quali, ad esempio, campagne ad hoc su particolari tematiche, collane, autori o altro”.
Distributore e promotore hanno un ruolo fondamentale. Un editore con cui collaboro, parlando del suo distributore, dice sempre “il mio socio di maggioranza”. Questo perché, per fare il suo mestiere, il distributore prende una grossa fetta del prezzo di copertina. Spesso, però, lo fa male, questo mestiere. Non propone i libri, non ha agenti, si limita a inviare qualche lista, qualche file excel, e a mandare poi i titoli su richiesta del libraio – nel peggiore dei casi: in ritardo, o dopo molti solleciti.
Oltretutto – oltre alla percentuale sul prezzo di vendita – il distributore reclama diverse condizioni, per accettare un editore nella sua squadra. Un certo numero di titoli all’anno, per esempio. O un nome di grido. Vorrà insomma partecipare alla programmazione editoriale della casa editrice. Spesso, senza conoscere davvero gli autori e i libri.
È un bel problema: senza distributore, una casa editrice dovrà piazzare i suoi libri direttamente, libreria per libreria, o venderli on-line, dal proprio sito. Con un distributore, invece, la parte propriamente commerciale dovrebbe essere coperta.
Ma ci sono soluzioni alternative alla distibuzione canonica?
Mi aveva incuriosito un’intervista di Andrea Cortellessa a Nanni Balestrini. Balestrini parlava di Area: “verso il 1976-77, poi, inventammo Area: una federazione di una dozzina di piccole iniziative editoriali come la Cooperativa scrittori, l’Erba voglio, Aut Aut, eccetera (molte erano espressione di aree politiche, appunto), che messe assieme componevano un’entità di medie proporzioni, con una buona distribuzione e ottimi risultati commerciali”.
Incuriosito, assai, ho cercato notizie in Rete, su Area. Ma ho trovato solo qualche informazione nell’Archivio Primo Moroni: “ chiudemmo anche la Cooperativa Area che rappresentava il più organico tentativo di creare una struttura editoriale produttiva che avesse la forza di confrontarsi con i grandi organismi di distribuzione editoriale che, com’è noto, sono da sempre uno dei nodi strategici della diffusione della cultura in Italia. Nell’Area avevamo riunito sotto un unica sigla editoriale una decina di case editrici autogestite (Squi/libri, Librirossi, Edizioni del No, Coop Scrittori, Edizioni delle Donne, Lavoro Liberato, ecc.) che, complessivamente, pubblicavano un numero di titoli sufficienti da permetterci l’accesso alle Messaggerie Italiane che era e rimane l’organismo distributivo più importante del panorama editoriale italiano” (Primo Moroni).
Insomma, cos’era Area? Io l’ho chiesto direttamente a Nanni Balestrini. Area – mi ha detto – era una struttura comune, una redazione unica, una alleanza di fatto fra un buon numero di case editrici vicine al Movimento [Nanni, quando gli ho chiesto di Area, l'ha usata spesso, questa parola: Movimento]. L’intento era dividere le spese, e fare blocco nei confronti dei distributori, delle tipografie, delle librerie. Fu chiusa nel 1978, dopo perquisizioni, e minacce niente affatto velate. Quei libri lì, pubblicati dai soci di Area, davano fasrtidio. Da quell’esperienza, nacque Alfabeta.
Un’idea semplice e, allo stesso tempo, rivoluzionaria. Della quale non v’è più traccia. Pare esista una tesi di laurea, sui due anni di vita di Area, e nulla più, a parte i ricordi di chi c’era.
E oggi, esistono idee “diverse”? Quali sono? La risposta è sì. Tra mille difficolta: sì. Ne cito tre, diverse fra loro.
Produzioni dal basso sfrutta le potenzialità della Rete. Funziona così: chiunque lo voglia, può proporre un progetto. La Rete, gli iscritti al sito, possono sottoscrivere il progetto e pagarne una quota. Con questo sistema è stato finanziato, fra gli altri, il documentario Una montagna di balle, sull’emergenza rifiuti in Campania. 506 persone hanno prenotato una copia del DVD, pagando quasi sei euro a testa. Anche alcuni libri sono stati finanziati e prevenduti – e quindi: distribuiti – con questo sistema. Saltando quindi gli intermediari – editori inclusi. [Si veda anche questa intervista apparsa su NI.]
Un altra idea: Murene di Nazione indiana. Murene è una collana che propone testi di poesia, saggistica e narrativa. Un comitato di redazione sceglie i titoli. I libri sono autoprodotti e acquistati per abbonamento – tre libri l’anno per 20 euro. Sul sito di Nazione indiana si legge: “abbiamo calcolato che 200 abbonamenti dovrebbero permetterci di andare in pari con le spese vive della produzione (le uniche che abbiamo deciso di tenere in conto): impaginazione, stampa, spedizione e spese di gestione del sistema PayPal”. Un altro modo, insomma, di saltare a piè pari distribuzione e librerie. [Per una riflessione sull'autoproduzione e Murene.]
Ultima idea: Senzapatria, ovvero la casa editrice di cui parla Baldrati, nel suo pezzo. Anche qui, incuriosito, ho chiesto direttamente all’editore, Carlo Cannella. Mi ha detto, Carlo, che i libri di Senzapatria, sono venduti negli Automatic Free Shop, ovvero quei negozietti pieni di ditributori automatici tutti arancioni, che vendono merendine, bevande, gelati, aperti ventiquattro ore su ventiquattro. E libri, ora, anche. Ma la rivoluzione, in questo, è soprattutto nel fatto che gli associati ad Automatic Free Shop acquistano i libri di Senzapatria. Non possono renderli, come invece possono fare le librerie. I libri, insomma, sono trattati come ogni altro bene di consumo.
Anche questa è un’ottima idea.
3 commenti:
Ciao.
Fai bene a suggerire, insieme o preventivamente, la lettura dell'articolo di Ostuni, davvero illuminante. Dà la misura del tipo di scelte, spesso ideologiche e pavloviane, che gli editori/distributori compiono mossi dal profitto. Anzi, apre la questione del profitto e della quantità come forma ormai elettiva dell'industria culturale.
Complimenti, poi, per il blog.
Alessandro
Ah, piccola errata corrige, poiché mi accorgo che il suggerimento era già presente nel post di Piscitelli...
Grazie dei complimenti Alessadro.
In effetti trovo che l'articolo di Enrico Piscitelli su NI sia estremamente interessante, in special modo letto dopo quello di Ostuni (sul cui articolo nutro un po' di dubbi, in modo particolare per il generico criterio di qualità e per l'idea di una commissione di esperti a cui si fa riferimento). La necessità di rinnovare l'editoria italiana è forte in questo momento storico (forse come non mai) e questo rinnovo, io credo, è già in atto. Le dinamiche che riguardano la distribuzione sono costrette a mutare radicalmente, bisogna solo capire in cosa.
:-)
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