mercoledì 30 giugno 2010

Racconto - Statuto 1983 di Demetrio Paolin

Il racconto di oggi è di Demetrio Paolin e si intitola Statuto 1983.  La storia è costruita alla perfezione e le immagini descritte si aprono lentamente, una dopo l'altra, presentando infine una tragedia spaventosa che fa accopponare la pelle se unita al pensiero che si tratta di un racconto ispirato ad un episodio realmente accaduto.  Demetrio, da abile autore qual è, ci accompagna per mano, senza fretta, lasciandoci attraversare l'inferno di piazza Statuto e richiudendo, in silenzio, la porta dietro di sé.  Un racconto, a mio avviso, assolutamente da leggere.





immagine di Giorgio Mazzurega


Statuto 1983
di Demetrio Paolin

  A Giuseppe Genna che investiga questa icona vuota.


Il cinema è in via Cibrario, ma ora non esiste più.
C’è altro. Un palazzo nuovo, uffici, assicurazioni, gente che entra e esce. Piazza Statuto è lì proprio sul limitare, che dici cade. Lei non è cambiata in questi anni, la città intorno si è fatta migliore, più bella, ma questo quadrilatero attraversato dai fili del tram, incorniciato dai portici è rimasto medesimo.
Dicono che qui abbia la sua entrata l’inferno.
Per il passante che camminando da via Garibaldi ci sfocia dentro, tale diceria è a suo modo consolante: sapere dove rimane il luogo zitto d’ogni luce porta un sollievo ingannatore. Sai dove verrai stipato, dove sarai segregato, ma è un posto fisico, vero. Le cose concrete non ti tradiscono, sono e se sono, rumina il passante, non sono male. Non è male il bucato appeso ai balconi, i bambini a giocare nello spiazzo, l’alba viola del primo calore.
La distrazione è il beneficio. L’inferno sotto piazza Statuto è accettabile. Il male ha una sua ubicazione precisa: è davanti aperto agli occhi di tutti.

Quel pomeriggio tardi davano un film francese comico, dal titolo La capra. La gente aveva voglia di ridere, nel febbraio del millenovecentottantatre. Tratteneva la gioia come una donna l’uomo che viene dentro e lei lo tiene infine stringendosi, sapendo che poi sarà poco più di morte. Lo sa e si illude.
La gente fa la fila e prende il biglietto, paga le poche lire e entra.
C’è una leggera calca, le entrate sono strette e ognuno vuole trovare il giusto posto, il migliore quello che gli permetta di godersi il film in una posizione adatta allo svago e allo scopo.
I corpi si strusciano, si toccano gli uni e gli altri. I piedi si pestano e tutto uno “mi scusi, no si figuri”, la coatta prossimità dei corridoi del cinema si allarga nella sala: poltrone di velluto, tendaggi rossi e uno schermo grande. C’è posto per tutti in questa giornata.
E’ il 13 febbraio 1983 e al cinema Statuto inizia la proiezione del film .
I fotogrammi rimandano il viso di Gerade Depardieu, attore noto per alcuni film della nuovelle vougue e che proprio con questo suo ruolo incomincia il lento declino. Si muove sullo schermo seguendo la trama e la gente ride.

Intanto fuori la sera si declina all’inverno, s’acconcia come un soprabito sulle spalle di un uomo. Torino si copre di nero, le giornate ancora non durano il dovuto e la gente s’affretta alla casa e alle usate abitudini del pre-cena. Qualcuno si ferma nelle botteghe ancora aperte a prendere il pane per la sera e il latte per la colazione del giorno seguente. Altri s’attardano al bar per prendere un martini leggero o un bianco che apra lo stomaco alla fame, che la richiami dal profondo del corpo. Sono poggiati al bancone indifferenti alla notte, alla gente che si muove per le strade.
Questa indifferenza fisica è la sensazione più simile alla grazia che ognuno può sperare. S’invidia appena quello che altri hanno, ma con benevolenza sapendo che in realtà il lamentarsi è giusto un modo di esorcizzare il tempo e la sera che arriva.

Nel cinema intanto non si ha sentore di questo, le persone stanno ancora sulle seggiole di legno e velluto a godersi lo spettacolo. La gente seduta nella sala dello Statuto sta dimentica di sé, alcuni – forse annoiati dal film – dormono pure, si appoggiano alla poltrona e sognano. Uno di questi s'accuccia meglio e sprofonda. Nel sogno cammina in un luogo di luce tenue senza uno spazio preciso intorno a lui, poi leggermente si insinua il profumo delle mandorle, che lo stordisce, lo lascia torpido. Il profumo delle mandorle sale al naso, entra dalle narici e percorre tutto il canale, si infila nella trachea e scende verso i polmoni.
Nel sonno l'uomo sente il suo benessere dissiparsi. La laringe si ingrossa e l'aria gli viene a mancare e si sveglia di colpo, sbalzato fuori.

Questo è l'inferno.
Un cinema buio, le porte chiuse e il fumo di un incendio. L’uomo, ancora stupito del suo sognare, vede le persone agitarsi, pesci in un acquario. Le sue pupille s'arrossano, la sua pelle - è una sensazione tremenda tale lucidità - assorbe il gas presente nell'aria. Le porte d'emergenza sono sigillate. Stanno facendo di tutto per aprirle e forzale, ma è vano.
Il fuoco è ovunque. Le gente s’accalca una sull’altra e lui medesimo. La testa incomincia a dolergli, in maniera sempre più forte e fitta. Vede gente accasciarsi in preda a convulsioni, il respiro farsi affannoso. Stentano, qualcuno s'abbandona e sviene, si lascia cadere giù. L’uomo vede le mani appoggiate alle maniglie che stringono e poi lasciano la presa come fiori recisi.
La morte è, la morte domina silenziosa con un profumo sempre più acre di mandorle.
Lui è inzuppato e affoga. Se lo sente ora addosso il gas, vibrante sulla pelle come una muta che gli toglie ogni respiro. Una mano lo tiene giù, lo affoga nel gas. Sente i suoi arti perder forza, anche il suo respiro si fa rotto. Non ha più le forze, insensibili sono le mani, le dita non sentono quello che toccano. Il suo volto viene avvolto rapido da una spessa coltre di plastica, che gli ricaccia dentro il respiro. Le membra s'agitano, danno alcuni strattoni come i vestiti agitati dal vento e poi anche l'uomo sfinisce conservando in sé, come una vergogna impudica, il profumo delle mandorle.

Così l'hanno trovato i vigili del fuoco quando hanno avuto ragione delle porte, insieme a lui altre 63 persone morte per asfissia.
Guarda, ora prendono i cadaveri e li mettono fuori coperti da un telo bianco, i corpi ancora molli della prima morte. La morte è una schiera grigia. La morte li ha consumati, contratti negli spasimi, li ha soffocati. Ora sono al cospetto della infinita notte di febbraio: nessuno di loro è persona, essere umano, singolarità. Sono insieme massa grigia, sono medesimi, finiranno medesimi.
Sono una morte comune.
Se potessero parlare la loro nenia sarebbe dolciastra. Hanno sentito le mandorle, il loro profumo possederli. Sono morti avendo questo sentore. Si sono spenti uno accanto all'altro uno sopra l'altro, un gomitolo di braccia, gambe, brogliaccio di capelli e di schiene che non può essere districata.
Sono 31 uomini. 31 donne. Un bambino. Una bambina.
Simmetria perfetta: a vederli stesi fuori il cinema paiono uno sterminato sudario a coprire l’intera città di Torino. Coloro che sono vivi, gli occhi rossi la gola gonfia, sono assistiti da infermieri e vigili del fuoco, hanno una coperta sopra le spalle e bevono un po’ d’acqua.
Guardano il relitto del cinema bruciato e i morti.
Nessuno sa come è successo. Nessuno si capacita di come un cinema sia andato in fiamme, nessuno sa perché le porte erano sigillate. Ci saranno le inchieste, ci faranno cippi di commemorazione. La domanda che rimarrà inevasa, che ora aleggia dai morti stesi sul lastrico del marciapiede e dai vivi seduti sulla strada circostante, la domanda che sale da entrambi con voce sincrona è: perché tutto questo?
E la soglia del cinema, combusta come le ossa di un morto, risponde parole che nessuno comprende.

Hier ist kein Warum 

Demetrio Paolin classe 1974 vive e lavora a Torino. Ha scritto alcuni libri, l'ultimo si intitola "Il mio nome è legione" (Transeuropa)

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Un racconto terribile e commovente. Bello.

Samy

Anonimo ha detto...

Un racconto in grande stile!! :)
Bravo Demetrio

MartaC.

Anonimo ha detto...

Seguo Demetrio Paolin già da un po' e trovo che Il mio nome è legione sia un ottimo romanzo che ho letto in pochissimi giorni. Questo racconto è molto bello ma sono convinta che lui possa raggiungere vette ancora più alte.
Ciao a tutti.
luanaluna

Anonimo ha detto...

ringrazio blogolo nel buio per aver pubblicato questa mia cosetta.
Grazie a chi l'ha letto.

d.

Blogolo Nel Buio ha detto...

Grazie di cuore a te, Demetrio, per questo racconto davvero splendido.

Anonimo ha detto...

Sì, questa è una ferita ancora aperta...
Ho conosciuto persone che hanno perduto i loro cari in questo incendio; uno di loro, un bambino di pochi anni quando lo conobbi, rimase orfano di entrambi i genitori.

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