martedì 15 giugno 2010

Nazione Indiana su Roberto Saviano - Quella di Dal Lago è diffamazione, non critica.

Ripropongo di seguito parte di un articolo comparso ieri su Nazione Indiana dal titolo Carta Canta  a firma di Helena Janeczek. Si tratta di una rflessione decisamente lucida sul discutibile saggio di Alessandro Dal Lago contro il noto scrittore Roberto Saviano che tanto sta facendo discutere in questi giorni. Helena puntualizza con precisione le falsità contenute nel saggio diffamatorio.







"Un piccolo libro contro Roberto Saviano edito dal “Manifestolibri” ha scatenato una discussione sulle pagine del “manifesto” e altri giornali, trovando un’ampia eco, prevedibile e positiva, sulla stampa di destra. Alessandro Dal Lago, l’autore di Eroi di Carta, e il suo editore Marco Bascetta hanno rivendicato il diritto di criticare Saviano da sinistra, mentre molte altre firme, inclusa la stessa direttrice del “Manifesto” Norma Rangeri, hanno difeso l’opera e l’autore di Gomorra. Non mi interessa, in questa sede, difendere Saviano perché sta pagando un prezzo personale alto, perché lo hanno più volte minacciato i Casalesi, perché sta decisamente antipatico al capo del nostro governo fresco di legge-bavaglio che è anche il suo editore e il mio datore di lavoro. Voglio soltanto mostrare com’è fatta quella che Bascetta definisce un’analisi “seria, rigorosa, e diffusamente argomentata”. Analizzando a mia volta un testo, lavoro che, se gli argomenti e riscontri sono validi, resta tale anche se fossi la mamma di Saviano o l’amministratore delegato della Mondadori.
La bandella di Eroi di carta promette che “Dal Lago cerca di venire a capo del fenomeno Saviano-Gomorra analizzando esclusivamente ciò che l’autore ha scritto.” Non è così. Oltre la metà delle citazioni riportate a blocchi, non appartengono alla produzione da lui firmata. Per rigore di metodo bisognerebbe distinguere nitidamente i pareri di caio e tizio su Saviano, ciò che Saviano ha detto- per esempio in un’intervista- e ciò che Saviano ha effettivamente scritto. E’ soprattutto l’introduzione a pullulare di questo uso arbitrario dei materiali e questo non stupisce, visto che sono le prime pagine a predisporre tutto il clima del libro.
In apertura si presenta, in prima persona, un docente universitario di sociologia della cultura – ossia una voce autorevole- che parla ai suoi studenti dei rapporti fra letteratura e media. Gli studenti si irrigidiscono quando dice di voler prendere in esame Gomorra sotto questo profilo. “Uno studente alza la mano. “Non si metterà anche lei a crocefiggere Saviano?”, mi chiede. “Un momento”, rispondo, “chi lo crocefigge, a parte ovviamente i camorristi? A me sembra che esista un movimento d’opinione unanime a sua favore. D’altra parte, lo stesso Saviano ha dichiarato di muoversi a suo agio nei media e anzi di voler lanciare una moda”. E leggo un passo di un articolo su una manifestazione anticamorra a cui ha partecipato lo scrittore”. Segue il passo da un articoletto senza firma uscito su Repubblica all’indomani del primo speciale di “Che Tempo che fa”.
“Saviano ha parlato a lungo e con cruda chiarezza. Lui stesso si è definito una “operazione mediatica”, nata e portata avanti perché si conoscano gli orrori della camorra e si capisca che riguardano tutti. Il suo “sogno” è che la lotta alla criminalità organizzata diventi una vera e propria moda. E’ quello che “i grandi editori, le televisioni, trovassero un punto comune, anche conveniente. Perché non creare una moda?”
Persino senza ricostruire tutto il contesto dell’intervista in cui Saviano parla a più riprese del suo rapporto con i media e andando a rintracciare solo il passaggio dove usa la parola “moda”, si scopre che le sue parole erano altre. “Perché non deve essere anche conveniente combattere questi poteri, perché non bisogna anche creare una moda di combattere contro di loro, perché dobbiamo sempre essere minoritari e marginali?”, ha detto Saviano. Un “noi” che allude a una collettività antimafia di cui Saviano si sente parte, un “bisogna” che si riferisce ai meccanismi mediatici nominati prima, non a una volontà in prima persona; “moda” pronunciato solo una volta, nessuna traccia di termini o metafore corrive come “sogno”, “orrori”, “vera e propria” e simili. Perché allora Dal Lago usa una fonte di seconda mano, perché parla di una generica “manifestazione anticamorra”, senza precisare che si trattava di un programma televisivo? Per faciloneria? Possibile? Se uno sociologo delle comunicazioni non tiene conto della differenza fra un discorso pronunciato davanti alle telecamere o in una piazza, se non distingue un riassunto fatto da altri dal testo originale, che serietà può avere il suo lavoro? Ma dato che una nota ci restituisce il titolo del articolo citato- “Il monologo di Saviano in tv: non sono solo in questa battaglia”- diventa quasi impossibile credere che si sia trattato di una svista. Allora è quasi inevitabile concludere che Dal Lago abbia citato il pezzo di “Repubblica” perché si prestava meglio al discorso che lui stesso intendeva fare. Per imporre una leggera distorsione alle parole di Saviano, attribuirgli una certa coloritura, e forse così far passare anche più liscia l’affermazione che con lui ce l’abbiano solo i camorristi. L’ultima uscita di Berlusconi su Gomorra è successiva alla chiusura del suo libro, ma c’è ne era già stata una precedente di cui Dal Lago tace. Ignora le intervista fatte più volte ai ragazzi e altri abitanti di Casal di Principe, e si sente esentato di andare a sentire qual è l’opinione corrente su Saviano. Gli unici nemici non camorristi che gli vengono concessi, ma solo en passant e a singhiozzo, sono Bruno Vespa, Licio Gelli, e Fabio Cannavaro. Bruno Vespa non ha mai espresso nulla contro Saviano e probabilmente Dal Lago lo confonde con Emilio Fede".

L'articolo continua qui.

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