mercoledì 16 giugno 2010

Un racconto di Alessio Arena: Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia

Oggi ho scelto di pubblicare il racconto «Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia» di Alessio Arena. Si tratta di un racconto che reputo estremamente interessante sia per il modo con cui Alessio ha diligentemente costruito la storia, dosando con abilità le informazioni che ci vengono rivelate e indovinando tutti i tempi, sia per quanto riguarda il linguaggio scelto, su cui spesso si incespica ma che riveste di un alone di credibilità una trama ricca di elementi surreali. Lo sguardo al sociale vigoroso e amaro che emerge dal racconto fanno di Alessio, a mio semplice avviso, uno degli scrittori italiani più acuti della sua generazione. Un racconto che vi consiglio.



Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia 

di Alessio Arena


Gli occhi ci fanno sempre male.
Verso sera cominciamo a sentire quel bruciore fastidioso, quel luccichio che gira intorno, come se dietro agli occhi avessimo due piccole cose che sono come due piccole stelle.
Quando non stiamo molto coperti vediamo quasi tutto quello che ci passa davanti.
Quello che vediamo quando ci mettono rivolti verso la strada, quando ci sistemano con il mento verso l'alto e ci tolgono gli occhiali, ci puliscono gli occhi con il glassex che usano pure per la vetrina.
Questa è la strada dove stiamo: le panchine e le borse che vanno e vengono.
Ogni mattina la luce è diversa, le insegne del Bar Puoti e della salumeria all'angolo si scoloriscono e fanno così e così come le luci di Natale.
Ogni giorno i balconi del primo e il secondo piano, la pattuglia dei carabinieri sul marciapiede, le coppie, i bambini che si sono persi.
Ogni pomeriggio le coppie di ragazzi, le coppie di ragazze, le coppie di anziani, le persone sole ben vestite, quelle che ci guardano con la discrezione del vicino abituato a considerare il look di questa piccola comitiva di manichini inespressivi.
A noi gli occhi ci fanno sempre male perché vediamo tutto quello che passa.
Qualcuno a volte ci guarda dentro agli occhi, come per vedere il prezzo di quello che sta per comprare.
Oppure Don Raimondo il pazzo che dorme sotto alla galleria con i suoi due cani a volte si ferma e ci guarda fisso, come se stesse per dirci qualcosa. Ma non dice mai niente.
Qualche volta forse si è accorto che tremavamo, l'aria condizionata del negozio ci uccide più del glassex dentro agli occhi, e a volte la pittura che abbiamo sulla bocca diventa più scura, non dobbiamo mai dare a vedere com'è difficile restare immobili dentro a questa vetrina, va a sapere fino a quando.
A volte ci cambiano il posto, lo stesso venditore che ci ha scelti nel magazzino di Arcangelo Roccocò ci vende a un altro negozio, spesso per qualche difetto, e perché è sicuramente più facile contrattare uno scambio con qualche commerciante della zona, piuttosto che chiamare mille volte al numero di Arcangelo, il nostro adorabile costruttore, che nessuno di noi ricorda di avere mai visto.
Tutti i manichini però a Arcangelo gli vogliamo bene.
Gli vogliamo bene perché ci fa tutti quanti magri, belli asciutti, alle donne ci mette dei seni duri e ben equilibrati, i fianchi non molto larghi; agli uomini ci scolpisce i pettorali come i nuotatori, ci fa questa mascella squadrata come gli attori di Hollywood.
Tutti noi a Arcangelo gli volevamo bene prima che uscissimo dal suo magazzino, quando non avevamo gli occhi.
Poi ci siamo trovati in quel camion sull'uscita dell'autostrada per Castellammare, uno addosso all'altro, uno incastrato con l'altro come ci piace restare la maggior parte del tempo, non vedevamo ancora niente, ma pensavamo che era così che dovesse andare.
Poi ci hanno divisi, ci hanno fatto scendere, e ci hanno staccati, molti di noi sono andati sul Vomero, nei negozi di Via Scarlatti, alcuni dentro alla Maddalena, dove i cinesi ci hanno messo quei camici e le mascherine, la divisa dei pompieri, e i cappelli dello chef, molti altri invece ci hanno portati al centro, e nella Riviera di Chiaia, ci hanno messo mani dappertutto, spogliati e rivestiti con taglie diverse, ci hanno infilzati con gli aghi che sostengono il cartellino del prezzo, soprattutto a quelli della merceria di Piazza Dante, dove ci hanno addirittura svitato gambe e braccia, per esporle singolarmente con quelle calze che puzzano di naftalina.
Arcangelo Roccocò non si è fatto mai vedere, e nessuno di noi sa a chi chiedere aiuto.
Siamo sempre di più, dal magazzino di Castellammare arriviamo sempre in molti a dividerci per tutta Napoli, e adesso pare che Arcangelo continui a sfornarci con diverse abilità e funzioni.
Alcuni siamo manichini seduti e obbedienti, manichini da studio, manichini per uso domestico, altri manichini da compagnia per persone sole, manichini che si prendono cura degli anziani, e infine ci sono i manichini addormentati.
Eravamo in due o tre, in quella vetrina della Eminflex sul corso Malta, una vetrina allestita con uno splendido enorme materasso ergonomico terapeutico sfoderabile a sacco con cerniera divisibile su quattro lati.
Così, dormendo davanti agli occhi di tutti, abbiamo iniziato anche a sognare.
Arcangelo Roccocò aveva i capelli quasi biondi, lunghi, come una madonna, ma la barba ispida, rossiccia, il naso che non finiva mai e due lunghi aghi negli occhi, due piccoli pezzi di carta appesi, due prezzi scritti sopra che non facevano nessuna somma.
Arcangelo Roccocò ci disse che ci avrebbe abbandonati, che sarebbe scappato da Napoli per salvarsi la vita.
E ci svelò questo segreto: l'asteco chiove e 'a fenesta scorre.
Da quel giorno gli occhi ci fanno sempre più male, tanto che all'improvviso, una mattina, abbiamo visto passare un manichino per la nostra strada.
Lo abbiamo visto obbedire alle pesanti norme della gravità umana, il passo disinvolto, vestito come se egli stesso avesse scelto ogni capo, ogni accessorio.
Abbiamo visto questo manichino prendere appuntamento con una ragazza magra, dai seni duri e ben equilibrati, così che erano già in due.
E dopo tre, quattro, cinque, sei, dodici, ventinove, i manichini sono usciti da qualsiasi posto, hanno iniziato a correre per strada, a entrare e uscire dai negozi pieni di borse, a cadere a terra ogni tanto, ma a rimettersi a posto subito dopo, a parlare col telefonino, a scrivere un messaggio, aggiustandosi la cintura o toccandosi il pacco, sopra ai motorini a due a tre, mamma padre e figlio, senza casco, scendevano da sopra ai quartiere spagnoli con le granite di orzata.
Adesso è Ferragosto.
In tutta la città Ferragosto è un boato, uno scricchiolio di manichini abbrustoliti al sole, la gente è sparita, tutta la gente di Napoli a Ferragosto sta a Ischia, o a Baia Domizia, o noi che ne sappiamo.
Non ci sta nessuno adesso, ma anche quelli che c'erano prima sembrava che già stassero sparendo a poco a poco, fuori al Banco di Napoli di Via Roma non abbiamo mai più visto una fila, e le guardie giurate stavano lì a fumare cento sigarette con gli occhi a mezz'asta, il traffico di Santa Teresa si era fatto più calmo all'improvviso, e i marocchini che vendevano i fazzoletti al semaforo avevano lasciato un cartello dove stava la loro sedia, con scritto torno subito.
Era come se le persone avessero cominciato ad avere paura di noi, da quel giorno che sul Corso di Secondigliano, all'incrocio con il supermercato nuovo, un manichino aveva letteralmente svitato la testa ad un altro che gli stava rubando la macchina nel parecheggio.
Gliel'aveva svitata la testa e poi, simulando una specie di respiro, un urlo inumano, legnoso, compatto, l'aveva lanciata così lontano, e così forte, che si racconta l'avessero vista rotolare fino allo sbocco della Doganella, precipitata alle porte del vecchio cimitero, tanto da creare un solco attorno a sé, la prima fossa di quello che sarebbe diventato il cimitero dei manichini.
Poi è iniziata la piccola guerra.
I manichini si sono divisi tra Secondigliano, San Giovanni a Teduccio, Sanità. Ogni uno si è fatto responsabile del proprio spazio che adesso non è più una vetrina di un negozio.
Adesso è Ferragosto, ci sono stati due casi di annegamento di manichini al Bagno Elena di Posillipo, una rissa fuori allo Chalet Ciro di Mergellina, e un concerto di Gigi d'Alessio allo stadio San Paolo solo per manichini. Tutto esaurito.
Quei due o tre che stavamo nella vetrina del Corso Malta a dormire ce la passiamo male con questo caldo. Noi non siamo le statue del Museo Nazionale, con questo caldo abbiamo la sensazione di prender fuoco da un momento all'altro.
Gli occhi ci fanno sempre male.
Verso sera cominciamo a sentire quel bruciore fastidioso, quel luccichio che gira intorno, come se dietro agli occhi avessimo due piccole cose che sono come due piccole stelle.
Poi il sogno di Arcangelo Roccocò ci viene a cercare.
Arcangelo Roccocò sta seduto su un trono in mezzo alle nuvole, con una barba come Mosè, o il profeta Isaia.
Siamo prima noi a parlargli, a chiedergli in che cosa abbiamo sbagliato, perché non tutti i manichini siamo uguali, e vediamo allo stesso modo, e ci svitiamo l'un l'altro, ci siamo presi ognuno la sua casa, il suo quartiere, e ogni tanto facciamo trovare qualche testa di manichino in mezzo alla strada, vicino a un cassonetto, sopra ai banchi del mercato della frutta, all'ora di punta.
Lui allora ci svela quest'altro segreto: 'o mellone è 'sciuto janco e rumpe 'o cazzo a 'o verdummaro.
Non possiamo chiedere a Arcangelo Roccocò che ci dica altro, che ci spieghi meglio cosa fare.
Ma forse, più in là, ci convinceremo che anche lui, un giorno, sia stato un manichino.
Questa è la strada dove stiamo: una notte che dura sempre poco, a Ferragosto, dentro e fuori le vetrine della città, e un sacco di stelle, quelle sí che ci fanno male agli occhi, le stelle, in fila indiana, che poi si lavano la faccia.


Alessio Arena: Nato a Napoli nel 1984. E' scrittore e cantante. Suoi racconti sono apparsi su diverse antologie e sulle riviste Linus, 'Tina, Colla, Calle 20 oltre che su Nazione Indiana. È scelto per far parte dei sette narratori italiani nati negli anni ottanta nella sezione monografica del numero 41 di Nuovi Argomenti intitolato “Non ancora trentenni”. Il suo primo romanzo è  L’infanzia delle cose (Manni, 2009), premio Giuseppe Giusti Opera Prima. Nel 2009 partecipa alla quarta edizione di Esor-dire (nell’ambito della manifestazione Scrittorincittà a Cuneo), dove vince il premio del pubblico.
Attualmente vive in Spagna, dove scrive teatro e dove lavora al suo prossimo libro, il primo in lingua spagnola, Todos los jueves de tu boca.
La sua email è  alessioarena@hotmail.com

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Alessio Arena è uno scrittore coraggioso. Il suo stile è quasi completamente fuori dai dictat editoriali italiani.
Altro che acciai e ferri battutti, ma scherziamo!


Teresamoccia

Anonimo ha detto...

un racconto surreale, ben scritto ma sospeso, uno come tanti

Anonimo ha detto...

É difficile parlare e raccontare le cose brutte, quelle che insudiciano una città come Napoli.
Alessio Arena lo fa in un modo assolutamente personale e ammirevole.
Così come succede anche nel suo romanzo.

Anonimo ha detto...

Notevole.

Anonimo ha detto...

L'immagine dei manichini è debole, scontata, banale e un po' fatua. Il surrealismo, ormai è cosa per vecchie signore, lo scriveva già Buazzelli negli anni sessanta. Ciò non toglie che il racconto abbia ritmo, stile ma non è nuovo. Personalmente ne ricordo più di una decina, letti in diverse occasioni sui blog e tutti abitati da manichini in quantità variabile.

Anonimo ha detto...

Parlare di surrealismo, riferito a questo racconto, mi sembra un po' da ignoranti.
Cazzo c'entra Arena con Breton, dico!
Che scrivesse poi Buazzelli che certe cose erano passate di moda negli anni sessante, bè, questa è una cosa che può interessare ai fruitori dei prodotti studiati a tavolino e sfornati nuovi e moderni e giovani dalle tristi major editoriali italiane.
Io ho assistito a un reading in cui Arena, restituendo la verve musicale della sua scrittura, mise in ombra i bei prodotti di Mondadori, Einaudi e compagnia.
Del resto, "L'infanzia delle cose", è un libro davvero tosto, solido, che "allucca", grida, ti sputa in faccia, se glielo permetti, un libro "che ti legge lui a te".
Per chi è avvezzo alle scritture che abbiano da dire molte altre cose, oltre che di se stesse, lo consiglio vivamente.

Blogolo Nel Buio ha detto...

Se potete firmate i commenti, per favore.
:-)

Anonimo ha detto...

Non conoscevo Alessio Arena prima di questo racconto ma devo dire che ho avuto di lui un'ottima impressione e al di là di quello che viene detto con invidia in alcuni commenti, Alessio ha talento e questo racconto non è uno come tanti. Gli elementi surreali sono evidenti ma questo, mi sembra banale doverlo precisare, non vuol dire che Alessio rientri nel movimento del surrealismo (anche se non credo che il surrealismo, checché ne venga detto da persone più o meno autorevoli, sia roba per "vecchie signore", tanto per dirne una adoro Dalì).

Giuseppe

Anonimo ha detto...

La realtà è differente signori miei, in Italia stiamo perdendo l'abitudine e il gusto della lettura, ci stiamo abituando troppo ai "libri da leggere in metropolitana".
Vogliamo storie leggere, con situazioni e personaggi scontati.
Quando poi si presenta qualcuno con i controcoglioni che ci mostra qualcosa di interessante andiamo a spulciare le tendenze e le tematiche del passato.
Tutto è stato già trattato, io credo che la cosa importante non sia il tema, ma lo stile.
Quante storie d'amore, di guerra, di odio sono state scritte? tante. Quindi smettiamola con la cazzata di "tu assomigli a...." e cerchiamo di apprezzare gli scrittori per come sono senza voler cacciarne delle similitudini o differenze ad ogni costo!
A mio avviso ci sono troppi pseudo-scrittori che si beano di premi non meritati e ottenuti solo grazie alle "spintarelle", e ce ne sono pochi come Alessio Arena, il quale, talento ne ha tanto, è molto apprezzato, ma non è conosciuto abbastanza proprio perchè di "spintarelle" non ne ha.
Quindi io dico: Alessio continua così, arriverà il momento in cui tutti vorranno entrare nel tuo mondo allucinante!
(e non potranno farne più a meno!)

e.

Anonimo ha detto...

Il surrealismo è l'unica corrente mai tramontata e sempre attuale.
Bel racconto, e per chi non l'avesse ancora fatto "L'infanzia delle cose". Facetelo :)

P.s. :
certe cose, certe penne si riconoscono anche se non si firmano.

M.

Anonimo ha detto...

Insieme a Peppe Fiore, per altro diversissimo da lui, Alessio Arena è quanto di meglio prodotto dalla nuova ricca stagione letteraria napoletana.

giuseppe

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