lunedì 28 giugno 2010

Intervista a Tiziano Scarpa: "Spero sempre nell'inaudito che sbaragli i giochi, le professioni, le aspettative"

Oggi propongo una piccola discussione con uno degli autori italiani più apprazzati: Tiziano Scarpa. Tra un impegno e l'altro è riuscito a trovare un po' di tempo da dedicare a blogolonelbuio e questo non può che farmi piacere.

Tiziano Scarpa ha scritto i romanzi Occhi sulla graticola, Kamikaze d’Occidente, Stabat Mater e Le cose fondamentali; le raccolte di racconti Amore, Cosa voglio da te e Amami; gli interventi civili Cos’è questo fracasso? e Batticuore fuorilegge; i libri di aforismi Corpo e La vita, non il mondo; il poema Groppi d’amore nella scuraglia e la raccolta di poesie Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto. È coautore insieme ad Aldo Nove e Raul Montanari delle cover poetiche Nelle galassie oggi come oggi. Ha scritto numerose pièce teatrali, fra cui Comuni mortali, La custode, Gli straccioni, Il professor Manganelli e l'ingegner Gadda, L'ultima casa, L'inseguitore. È autore dei radiodrammi Pop Corn, La visita e La musica nascosta. Ha pubblicato la guida Venezia è un pesce. Svolge un'intensa attività di lettore scenico delle opere sue e altrui, a teatro e non solo. Con il suo romanzo Stabat Mater ha vinto il Premio Strega 2009[1] e il Premio SuperMondello 2009. I suoi libri sono tradotti in numerose lingue, cinese compreso. Collabora alla rivista-sito Il primo amore (pubblicata anche su carta dalle edizioni Effigie) di cui è uno dei fondatori, dopo esserlo stato del blog collettivo Nazione indiana.
Per prima cosa vorrei parlare di come sono andate le cose nel lontano (ma non troppo) 1996, quando hai convinto l'editore Einaudi a pubblicare il tuo romanzo d'esordio Occhi sulla graticola . Pensi che oggi un autore in cerca di spazi possa proporsi nello stesso modo?

A me è andata così: Mauro Bersani, che attualmente dirige alcune collane nella casa editrice Einaudi, lesse i miei racconti nel 1989. Allora non lavorava ancora per nessuna casa editrice. Poi continuò a seguire quello che scrivevo, finché, alla fine del 1994, gli mandai il mio primo romanzo. Nel frattempo, Bersani era stato assunto come redattore all'Einaudi. Propose il mio romanzo per la pubblicazione. Firmai il contratto all'inizio del 1995; ci volle un anno per la pubblicazione vera e propria: Occhi sulla graticola uscì nel febbraio del 1996. Nel mio caso, insomma, ho trovato una persona generosa, interessata a leggere i miei inediti. Di generosità se ne trova ancora in giro, ma come vedi io ho avuto un colpo di fortuna molto particolare: avere come lettore dei miei inediti qualcuno che poi è entrato in una casa editrice importante. Non potendo contare sulla fortuna, consiglio altre vie di proporsi (vedi l'ultima risposta di questa intervista).

Che idea ti sei fatto delle nuove generazioni di scrittori? Quanta qualità c'è nei testi che sicuramente ti sarà capitato di leggere qua e là? Pregi e difetti.

Non ha senso parlare in generale. Di recente ho letto due esordienti molto intensi, Simona Castiglione (La mente e le rose) e Andrea Tarabbia (La calligrafia come arte della guerra), pubblicati entrambi da Transeuropa, e altri un po' più deboli. Diciamo che sono spontaneamente portato a simpatizzare con chi non ricalca formati romanzeschi risaputi ma si apre la propria strada fra i rovi e non ha paura di inoltrarsi dove non va nessuno.

Ultimamente si parla di un ritorno in auge della figura dello scrittore esordiente che fino a poco tempo fa era stata accantonata nel dimenticatoio. Molti sostengono che dall'assegnazione del premio Strega a Paolo Giordano in poi si sia innescato un fenomeno di vendita che spinge molti editori a pubblicare nuovi autori al di là della qualità del testo. Tu che per la vittoria dello Strega 2009 (con il romanzo Stabat Mater - Einaudi) hai fatto una gavetta vera, cosa ne pensi? E' un timore reale? Se sì, credi si tratti di un meccanismo di cui preoccuparsi o fa parte dei ricorsi storici?

Non mi pare che gli esordienti fossero stati accantonati nel dimenticatoio. Prima di Paolo Giordano, negli anni Duemila hanno esordito Davide Longo, Letizia Muratori, Melissa P., Alessandro Piperno, Pulsatilla, Roberto Saviano e altri autori assai letti. Io ho avuto un ragguardevole riscontro di critica e visibilità con il mio primo romanzo, ma ringrazio il cielo di non aver avuto un grande successo di vendite con quel libro. Immagino che mi avrebbe creato ansie nello scrivere i libri successivi, e forse avrebbe interferito con le mie fantasie artistiche e le mie forze creatrici. Autori e autrici veri possono venire schiacciati dalla macchina editoriale del "successo al primo colpo".

Hai un'agenzia che ti rappresenta? Credi sia importante per un autore averne una? Se ce l'hai quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

Da cinque anni sono rappresentato dall'Ali, Agenzia Letteraria Internazionale. Si occupa di trattative che per l'autore sarebbe sgradevole condurre e di altre cose un po' noiose, che mi porterebbero via tempo, e verifica la correttezza del comportamento degli editori. In più, dà preziosi consigli sulle scelte editoriali che può fare un autore, avendo un'esperienza senza pari e la conoscenza perfetta del paesaggio reale. Nessuno svantaggio. Prima facevo tutto da solo. Avrei fatto meglio a trovarmi un agente fin da subito.

Te la senti di dare un consiglio pratico a un autore che inizia ora a cimentarsi con la scrittura e a un bravo autore che è invece in cerca della sua prima pubblicazione?

Il consiglio pratico è quello di riscrivere da cima a fondo un libro che si considera finito: non limitandosi a correggere qua e là qualche parola sullo schermo, ma proprio ricopiandolo, ridigitandolo per intero, come se invece di un computer si disponesse di una vecchia macchina da scrivere. Serve a rimettere in discussione ogni frase, rassodando il superfluo, tagliando, ma soprattutto dà risultati inaspettati: ricopiando succede che si sviluppano pagine che, prima, sembravano compiute, si trovano spunti, semi, bulbi e boccioli che se ne stavano nascosti fra le righe nonostante le riletture e che, durante la ribattitura del romanzo, sbocciano e danno frutto.
Un altro consiglio (non richiesto) è: domandati che scrittore/scrittrice sei. Un romanziere? Un poeta? Un drammaturgo? Un saggista? Un autore/autrice di aforismi? Non scrivere romanzi, sempre e unicamente romanzi, soltanto perché te lo chiede quest'epoca romanzofaga. Non snaturare una poesia, un racconto, una commedia teatrale, un saggio, facendoli diventare forzosamente un romanzo.
Ai bravi autori in cerca della loro prima pubblicazione suggerisco di partecipare al premio Calvino, e di trovarsi un buon agente letterario che proponga i loro libri agli editori.
Il premio Calvino è serio, non si lascia sfuggire gli inediti di valore. Dopo aver partecipato anch'io alla giuria in un'edizione di una decina di anni fa, e avere constatato di persona la serietà con cui è organizzato, negli anni successivi mi è capitato di suggerire a tre persone, avendo letto i loro inediti, di partecipare al Calvino, in tre edizioni diverse: ebbene, una l'ha vinto, l'altra ha ricevuto una segnalazione speciale della giuria, la terza è arrivata fra i finalisti. E, naturalmente, nessuno nella giuria del premio sapeva che avevo suggerito a queste persone di partecipare (anche perché sarebbe stato impossibile, essendo la partecipazione anonima; il nome dell'autore/autrice viene scoperto dalla giuria solo dopo aver emesso il verdetto).
Quanto agli agenti, mi sembra che oggi gli editori ascoltino quasi esclusivamente i loro consigli, la filiera editoriale si è professionalizzata. Negli anni passati ho letto un'enorme quantità di inediti, suggerendone alcuni agli editori, ma con scarsissimo successo. Da un po' di tempo ho smesso, perché, visti i risultati deludenti, ho constatato che non ne vale la pena, oltre a essere un lavoro che richiede tantissimo tempo, e io non ne ho più. Gli editori si insospettiscono, quando un autore/autrice gli consiglia di pubblicare un libro di un esordiente, pensano che lo faccia perché si tratta di amici suoi, e non perché crede spassionatamente nel valore di quell'inedito. Ti ripeto: gli editori si fidano molto di più degli agenti letterari, perché gli agenti non sono disinteressati, ci possono ricavare qualcosa dai diritti d'autore (di solito il dieci per cento), e dunque se propongono un libro all'editore significa che si aspettano che quel libro abbia delle possibilità di trovare i suoi lettori; e poi si suppone che gli agenti, i quali conoscono bene il mercato e hanno contatti con l'intero panorama editoriale, abbiano fatto a ragion veduta la scelta dell'editore, ritenendo che quello sia il più adatto per quel tipo di libro. Infine, l'agente si gioca anche la sua reputazione professionale, non può proporre un libro all'editore solo perché l'autore è un amico o per altri motivi extraeditoriali.
Io comunque spero sempre nell'inaudito che sbaragli i giochi, le professioni, le aspettative, i paesaggi, le istituzioni, i percorsi obbligati, le procedure, le trafile. Viva la scrittura!

venerdì 25 giugno 2010

I fiori di Honk Kong (Fanucci) - di Paola Rondini

Paola Rondini è un'interessante autrice thriller che consiglio senz'altro (a chi ancora non la conosce) di scoprire. I fiori di Hong Kong è il suo secondo romanzo (edito da Fanucci) e devo di che si tratta di un lavoro che mi ha colpito non poco. Di seguito, come al solito, inserisco la trama:

 


L’architetto Vittorio Sarli viene chiamato dal consolato italiano di Hong Kong per riconoscere la salma del fratello Giorgio, rimasto ucciso insieme a una prostituta durante quello che, secondo la polizia locale, è stato un regolamento di conti legato all’attività della donna. Mentre ricostruisce le ultime fasi della vita di suo fratello, Vittorio conosce Julia, affascinante direttrice di una rivista impegnata sul fronte dell’ecologia e affidataria di Lin-May, una giovanissima ragazza dal passato difficile, che vive con lei e a volte realizza servizi fotografici per la sua rivista. Poco alla volta Vittorio porterà alla luce verità sempre più inquietanti sulla personalità di Giorgio, aiutato da Leung, commissario metodico e appassionato indagatore della verità, al quale sono affidate anche le indagini sull’efferata uccisione di Lin-May mentre era impegnata in un servizio nell’entroterra cinese. In un susseguirsi di colpi di scena e rivelazioni sconcertanti, i delitti si svelano come parte di un disegno che affonda le sue radici nella mafia russa e nella malavita internazionale, in cui gli interessi in gioco si riveleranno temibili e pericolosi per l’umanità intera.

giovedì 24 giugno 2010

Daniele Luttazzi: non è plagio ma un'esigenza legale

In questo articolo apparso sul blog di Daniele Luttazzi (già nel 2005) c'è a mio avviso un chiarimento netto che chiude l'annosa faccenda riguardante l'accusa di plagio che ha visto Daniele, di recente, protagonista. Certo, sull'eccessiva tutela del diritto d'autore di cui (tra le altre cose) si parla, ci sarebbe molto da discutere e personalmente non condivido la sua posizione eccessivamente conservatrice, ma non c'è dubbio che questa sia un'altra questione (di cui magari parlerò più in là).

 

 

Caccia al tesoro

Da anni, Luttazzi organizza una "caccia al tesoro": dissemina qua e là indizi e citazioni di comici famosi, e i fan devono scoprirli. Questo escamotage nacque come esigenza legale dopo il processo Tamaro: il pretesto delle querele miliardarie, infatti, è che quella di Luttazzi non è satira, ma volgarità e insulto.
Facevano così anche contro Lenny Bruce e Lenny Bruce, per difendersi, cominciò a inserire nei suoi monologhi brani di autori satirici famosi. Vinse così alcuni processi dimostrando che il brano tanto volgare di cui lo accusavano, in realtà era di Aristofane!
Luttazzi ha ripreso lo "stratagemma Bruce": non solo vince le cause miliardarie che gli intentano, ma può togliersi lo sfizio di dare dell'ignorante a chi lo attacca sui giornali sostenendo che la sua non è satira e non fa ridere. Quando i soloni fanno un esempio, quasi sempre il brano che non li fa ridere -sorpresa!- è ripreso da un comico famosissimo: Bruce, Carlin, Hicks. ( Famosissimo per tutti, tranne che per loro! )
Il campo di Luttazzi è minato. Occorre competenza per attraversarlo indenni.
La cosa col tempo è diventata una strizzatina d'occhio ai fan: la caccia al tesoro. Scoprire le mine. Una complicità fra appassionati di comicità, come nel jazz quando Fred Hersch inserisce in una improvvisazione una frase di Monk: chi se ne accorge entra a far parte di un circolo di eletti.
Il premio simbolico è un libro di Luttazzi o un suo cd con autografo commemorativo dell'occasione fausta.
Altre mine restano ancora nascoste. Quindi, buona caccia!

mercoledì 23 giugno 2010

Max pubblica una foto di Saviano morto!

Ora si sta davvero esagerando! Tutta la mia solidarietà a Roberto.

(ANSA) - ROMA, 23 GIU - 'E' di cattivo gusto': cosi' Roberto Saviano sul fotomontaggio di Max in cui si vede il suo cadavere in obitorio ripreso di scorcio. L'immagine e' accompagnata dalla scritta 'hanno ammazzato Saviano' e riprende il Cristo di Mantegna e la foto di Che Guevara morto.'Una foto - dice Saviano - utilizzata per speculare cinicamente sulla condizione di chi vive protetto. Questa pressione sulla mia morte lascia sgomento me e la mia famiglia.Ma rassicuro tutti:non ho alcuna intenzione di morire'.

ansa 23 giugno 2010

Domenico Procacci: Troppi editori conformisti e premi poco trasparenti

Ripropongo di seguito una interessante intervista a Domenico Procacci (produttore cinematografico e fondatore di Fandango) uscita qualche giorno fa su La Repubblica - R2 Cultura. L'intervista è a cura di Antonio Gnoli. Un attacco duro a un mondo, quello editoriale, incapace di rinnovarsi.




La sfida di Procacci: "Troppi editori conformisti e premi poco trasparenti"

 di Antonio Gnoli

L'orecchino al lobo sinistro, gli stivaletti un po' consumati, l'aria di quello "che ci faccio io qui", un po' sorniona e un po' trasgressiva, così si presenta Domenico Procacci, patron della Fandango, un'impresa multipla che annovera ovviamente la produzione cinematografica, la casa editrice, una radio e un settore di produzione musicale. La sede è a Roma, in una palazzina a più piani dove si respira un'aria democratica, rilassata, in qualche modo controcorrente rispetto alle formalità che in genere avvolgono la sede di un'azienda.
La Fandango libri compie dieci anni. E nel tempo è diventata una bella realtà: all'inizio pochi libri, oggi una cinquantina di titoli l'anno, circa tre milioni di fatturato, cui va sommato un altro milione se si considera la recente acquisizione della Coconino, una casa editrice specializzata in fumetti, peraltro bellissimi. Dieci anni che verranno in qualche modo festeggiati con l'uscita in ottobre del nuovo romanzo di Sandro Veronesi. Titolo un po' misterioso: XY, per un romanzo a metà strada tra il thriller e il racconto filosofico. A cinque anni da Caos Calmo che vinse lo strega, la curiosità e le aspettative sono alte.

Tiratura iniziale tra le 150 e le 200 mila copie. 
 «L'investimento che abbiamo prodotto è adeguato all'evento letterario e mi piace che coincida con il decennale della casa editrice».

Intende dire che lo sforzo sarà analogo a quello che produceste per Questa storia di Baricco?
«Legato all'importanza che rivestono certi scrittori che hanno creduto nel nostro progetto. E, tra l'altro, il romanzo di Baricco andò benissimo».

C'è chi ha sostenuto che è andato meno bene dei libri che Baricco pubblicò con Rizzoli.
«E' un'affermazione infondata. Il libro ha venduto oltre duecentomila copie, è stato primo in classifica per quattro settimane. Direi pienamente in linea con i suoi precedenti lavori. Baricco del resto ha un pubblico che lo segue a prescindere dalla casa editrice con cui pubblica».

Però il gruppo Rizzoli non digerì quella specie di scippo. Di beffa contro natura: il piccolo che mangia il grande. Non si era mai visto che autori affermati come Baricco, Veronesi e lo stesso Nesi lasciassero la casa madre per andare altrove.
«A parte che Nesi continua a pubblicare per Bompiani, dov'è lo scandalo? Il momento importante per noi coincise con l'arrivo di Rosaria Carpinelli che era l'editor della Rizzoli. Con lei abbiamo rifondato la casa editrice».

Rifondata cosa vuol dire?
«Quando la Fandango libri è nata si pensava di fare pochissimi titoli e soprattutto di autori non italiani. Ci piaceva poter dare al pubblico Infinite Jest di Foster Wallace o pubblicare i romanzi di John Cheever. Ma era una politica del fiore all'occhiello, dell'hobby nato dalla testa di un produttore cinematografico. Poi siamo cresciuti e siamo stati in grado di affrontare non solo la narrativa straniera ma anche quella italiana, la saggistica, il fumetto».

Come ha convinto scrittori affermati a venire alla Fandango?
«Se non pensassi che su certi libri posso fare lo stesso lavoro dei grandi editori non avrei proposto prima a Baricco e poi a Veronesi di pubblicare con noi. La vera differenza si sente soprattutto con gli autori meno noti, qui facciamo più fatica di un grande editore a imporli all'attenzione dei lettori».

Avete sempre il vantaggio del cinema. Un bel romanzo può diventare un film e viceversa.
«Non è così semplice, anche se i punti di contatto ci sono. Nel senso che in entrambi i casi si tratta sempre di raccontare storie. Cambia naturalmente il mezzo, il linguaggio e gli investimenti sono diversi: se sbagli un libro poco male, se toppi un film la cosa è certamente più grave».

Due forme d'ansia diverse?
«Per natura non sono ansioso. Diciamo che il gioco che porto avanti nel cinema è lo stesso che pratico con i libri: andare dietro al proprio gusto, pubblicare ciò che ci piace e capire se è un discorso limitato a me e alle persone che mi circondano, oppure intercetta anche il gusto del pubblico e quindi diventa qualcosa di più emozionante».

E cosa ne ha concluso?
«Non penso che la qualità sia necessariamente per pochi. Ecco, se un'ansia mi viene è quella di sapere se un libro o un film piacerà solo a noi o anche agli altri».

Lei interviene sui libri con la stessa determinazione che ha con i film?
«Per la parte letteraria so di essere molto meno competente».

Ma di fronte a un romanzo che non le piace e che i suoi collaboratori caldeggiano, lei che fa?
«Non è mai accaduto che un libro portato da quelli che lavorano con me non mi sia piaciuto. C'è del resto un rapporto di fiducia e di stima senza il quale non costruisci niente».

Ha il tempo di leggere tutto quello che passa dalla casa editrice?
«Come potrei? Cerco naturalmente di informarmi il più possibile, ma ormai non ce la faccio più. La Fandango è cresciuta nei titoli e negli impegni».

Quanto tempo le dedica?
«Diciamo un trenta per cento, il resto va alla Fandango cinema».

Come vive la crisi del libro e del cinema?
«Se il raffronto lo si fa con altri settori la situazione non è così compromessa. Per quanto ci riguarda non abbiamo subito particolari contraccolpi. Registriamo una crescita anche se lenta, sia col cinema che con i libri. In ogni caso il cinema si muove a una velocità maggiore dell'editoria».

Intende dire che i libri spostano poco?
«Non solo questo. Diciamo che nel mondo dell'editoria c'è una generale accettazione di quello che si è. C'è molto conformismo e quieto vivere. Ogni tanto scoppia qualche petardo, ogni tanto qualcuno attacca un premio o un editore concorrente, ma alla fine tutto resta com'è. L'editoria somiglia a un fossile e questo mi preoccupa».

E non la preoccupa che il maggior premio letterario, ossia lo Strega, siano sempre gli stessi editori a vincerlo?
«Sono l'ultimo arrivato e mi muovo con difficoltà nel mondo dei premi letterari. Noi abbiamo il libro di Lorenzo Pavolini Accanto alla tigre che concorre allo Strega. Come produttore di film ho preso posizione sul premio Davide di Donatello, chiedendo che fosse cambiata la giuria, perché da quando è stata molto allargata ha perso di qualità. Poi un giorno mi hanno raccontato come funzionava lo Strega, sono rimasto a bocca aperta. Tutto quello che nel mondo dei premi cinematografici mi sembrava non avesse sufficiente limpidezza, improvvisamente mi è parso trasparente rispetto ai maggiori premi letterari e in particolare allo Strega».

Eppure vi partecipa.
«Non voglio fare del moralismo, né gridare allo scandalo. Ho imparato che lo Strega funziona per blocchi di potere, che le grandi case editrici controllano molti voti. Vincere quel premio significa incidere sui numeri del venduto, significa a volte costruire una carriere letteraria, significa rafforzare un editore. Dovrebbero esserci regole condivise da tutti. Ma se non riesco a cambiare le cose nel mondo del cinema, dove ho un ruolo molto più forte, come posso pensare di incidere sulle regole dello Strega con una semplice polemica? Il premio riflette l'immagine della realtà editoriale italiana, che è sostanzialmente immobile. C'è un'accettazione passiva delle cose. Lo scenario va cambiato, ma non basta fare casino, occorre creare condizioni diverse».

Un gioco con Nicoletta Vallorani

Mi va di segnalare un bel giochino che la scrittrice Nicoletta Vallorani sta portando avanti sul suo blog. Leggendo poche righe di testo indovinare lo scrittore e il libro. E' un buon modo per mettersi alla prova, e poi è divertente!

per giocare premi qui

lunedì 21 giugno 2010

Non ti voglio vicino (Frassinelli) - Barbara Garlaschelli

Questo libro di Barbara Garlaschelli è stato candidato al premio Strega 2010 e io non nego che mi sarebbe piaciuto vederlo anche nella cinquina finale. 

Lena è giovane, bellissima e intelligente e accanto ha un marito che farebbe qualunque cosa pur di renderla felice. Ma lei non sa più dare né ricevere amore fin da quando - aveva nove anni - qualcuno le ha rubato l'innocenza, segnandola per sempre. Un segreto nascosto con cura, sepolto nell'anima, un fantasma di cui però non riesce a liberarsi e che a poco a poco sgretola il suo equilibrio. L'affetto e la dedizione di Lorenzo non bastano, e nemmeno la nascita di Prisca scalfisce la scorza di questa donna gelida, nemica, distante. C'era la guerra all'epoca in cui Lena aveva vissuto sulla propria pelle la follia degli adulti; da allora è trascorso molto tempo, eppure lei continua a combattere un'infinita battaglia dentro se stessa, contro i demoni che l'assediano. La sua bambina la teme e la respinge fino al punto di odiarla, di non volerla vicino, e la tragica scomparsa di Lorenzo accelera il distacco della figlia dalla madre. Un rapporto distruttivo, logorante, che lentamente intacca anche la psiche di Prisca, inducendola a difendersi con una straziante, terribile forma di rifiuto... Ambientata fra il 1939 e i giorni nostri, una storia di infanzia tradita, di sentimenti calpestati, di amori molesti, cui la scrittura limpida e affilata di Barbara Garlaschelli imprime un pathos e una drammaticità crescenti, che catturano il lettore sino al liberatorio finale.
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