lunedì 21 giugno 2010

Intervista a Valentina Balzarotti (Agenzia Letteraria Internazionale): "C'è un grande cambiamento in atto dovuto alla rivoluzione dei mezzi di comunicazione"

Oggi ho il piacere di parlare con Valentina Balzarotti,  una delle agenti della A.L.I. (Agenzia Letteraria Internazionale), agenzia fondata da Augusto Foà e che, detto per inciso, considero per storia e per catalogo la più prestigiosa del Paese. Chi avesse dubbi in proposito può dare un'occhiata alla biografia di uno dei suoi agenti più influenti, Erich Linder , da molti considerato un mito (deceduto nel 1983 gestì i diritti di autori come Franz Kafka, Thomas Mann e altri ancora).
Attiva da oltre un secolo, tra gli autori rappresentati compaiono nomi come Indro Montanelli, Alda Merini, Ezra Puond o ancora i più recenti Tiziano Scarpa, Antonio Moresco, Barbara Garlaschelli, e molti altri



Ciao Valentina e grazie della disponibilità. Inizio subito chiedendoti in che modo lavorate? Come funziona la vostra organizzazione interna e che tipo di servizi offrite?

Ci sono vari settori in agenzia.

1.      agenti che si occupano solo di autori italiani:  i  diritti delle loro opere vengono venduti in Italia e nel mondo, per libri, e book, audio books, e diritti cinema e tv tratti dalle loro opere.

2.      agenti che si occupano di agenti, scrittori singoli e case editrici straniere che rappresentiamo in esclusiva in Italia :  i diritti vengono venduti per libri, e book, audio books,  eccetera ma solo in Italia.

Che tipo di professionalità avete all'interno dell'agenzia? In quanti siete?

Siamo otto in tutto, più qualche collaboratore esterno. Agenti veri e propri siamo in cinque: due agenti dedicati esclusivamente agli scrittori italiani, un agente solo per la vendita dei diritti all’estero, due agenti per la rappresentanza dall’estero in Italia.

Chi sono i vostri clienti?
 
Li potete trovare tutti sul sito: ci sono i nomi degli scrittori italiani, che rappresentiamo in esclusiva in tutto il mondo  e i nomi degli agenti, case editrici e singoli scrittori stranieri che rappresentiamo in esclusiva in Italia.

In che modo selezionate gli scrittori da rappresentare? Molti sostengono che bisogna essere già piuttosto affermati per entrare nelle grazie di un'agenzia valida come la vostra, che bisogna dimostrare di essere appetibili per il mercato, corrisponde al vero questo? E' il mercato editoriale a dettare le regole del gioco?

Bisogna distinguere sempre seguendo i due settori principali di prima:

1.      Scrittori italiani: oltre agli scrittori affermati, noi cerchiamo talenti nuovi (in particolare questo è un compito affidato a me). Un filtro all’ingresso è rappresentato dal servizio di valutazione delle opere (servizio a pagamento, vedere la sezione apposita sul sito); l’altro sistema con cui io seleziono gli scrittori che vorrei rappresentare è con un costante monitoraggio di quello che esce in libreria, dei premi letterari minori, dei premi opere prime, e delle scuole di scrittura, blog, siti internet eccetera. Inoltre sono molto spesso i nostri rappresentati a indirizzare a noi i loro colleghi scrittori. Noi siamo la dimostrazione che non bisogna affatto essere affermati per essere rappresentati da noi. Tuttavia è vero che poi spesso, anche se noi siamo convintissimi della validità dell’opera di uno scrittore non affermato,  facciamo una gran fatica a trovargli un editore (e a volte, raramente, per fortuna, non lo troviamo affatto)

2.      Le rappresentanze dall’estero verso l’Italia invece avvengono per contatti personali alle numerose fiere a cui siamo presenti e attraverso contatti sempre personali costruiti negli anni (anzi nei decenni, visto che l’Agenzia supera i 100 anni di età!) Esaminiamo i cataloghi degli editori e degli agenti letterari e decidiamo. Abbiamo aperto un settore molto vasto di ricerca nei paesi dell’Est europeo, verso i paesi di lingua araba, Cina, e, parlando in modo molto generico, anche in  Africa (Sud Africa in testa)

Qual è il costo all'incirca per il servizio di valutazione di cui mi hai accennato? E soprattutto, al fine di ottenere la vostra rappresentanza ha senso autoproporsi presso di voi per uno scrittore totalmente sconosciuto? (cioè, in parcentuale, quanti autori che si autoprogongono ottengono effettivaente la rappresentanza?)

Il costo approssimativo è di 350 euro più iva, c’è tutto chiaramente indicato sul sito www.agenzialetterariainternazionale.com alla voce servizi. Raramente capita, ma capita,  che venga fuori qualcosa di pubblicabile da questo servizio (una percentuale di non più del 5% di quello che ci mandano per il servizio di valutazione è buona).

Come valorizzate gli scrittori meno noti su cui decidete di investire?

Semplicemente cercando di proporli agli editori adatti , con le collane giuste, con l’attenzione giusta all’esordiente, insomma con quelle caratteristiche che ci convincano di fare il bene del nostro scrittore. 

Vi occupate anche delle promozione? 

No, non ci occupiamo di promozione in senso letterale , non ci sovrapponiamo agli uffici stampa e di promozione degli editori.

Gestite anche i diritti secondari e le traduzioni estere? Se sì in che modo?

Li gestiamo sempre, il modo dipende dal tipo di contratto che stipuliamo.  In certi casi alcuni  diritti secondari (come per esempio traduzione, book club, antologici eccetera) vengono ceduti all’editore che ne divide i proventi con lo scrittore secondo percentuali stabilite di volta in volta in contratto, in altri casi tali diritti vengono riservati al 100% allo scrittore e allora li trattiamo noi proponendo l’opera agli editori stranieri che incontriamo alle varie fiere a cui andiamo, oppure semplicemente attraverso i nostri contatti e i nostro coagenti nel mondo, oppure, se si tratta di diritti cine tv, sottoponendo le opere ai produttori cinematografici con cui siamo in costante contatto.

Valentina, tu personalmente che idea hai del panorama letterario italiano?

C’è un grande fermento di idee e un grande cambiamento in atto dovuto alla rivoluzione dei mezzi di comunicazione (internet , e book, piattaforme digitali, I Pad  eccetera) . Questo porta e porterà a idee interessanti e nuove. Purtroppo tuttavia spesso i  giovani esordienti italiani sono un po’ troppo autoreferenziali e quindi le loro opere sono asfittiche. Questo almeno è quello che mi capita di osservare dal mio punto di vista particolare.


Grazie mille.


venerdì 18 giugno 2010

E' morto il premio nobel José Saramago

E' morto Josè Saramago, premio Nobel per la Letteratura (1998), aveva 87 anni.

continua... 

Il Primo Amore: Editoria criminale

Riprendo l'inizio di un articolo tratto da Il Primo Amore e lo ripropongo qui perché mi pare un buono spunto per una riflessione sul ruolo delle riviste che si occupano di cultura. Quali sono le vostre preferite? Che idee vi siete fatti in genarale? Cosa pensate di quelle on line? Comprate quelle cartacee? 
E' solo per farmi un'idea :-)




di Andrea Amerio

Chiude la storica «Rivista dei libri», e ho l'impressione che non se la passino troppo bene neppure «L'indice», «Pulp», «il caffè letterario», «Nuova prosa», «Poesia», «Linea d'ombra», «Stilos», «Nuovi Argomenti» e tante altre riviste che hanno scelto di lavorare sulla cultura. Ma intanto ci sono altre imprese editoriali versate su ben altri fronti che fanno affari d'oro, settori che pompano di brutto, consumando risorse secondo la logica della lottizzazione criminale. Ad esempio, dopo aver molto mangiato, a fine aprile naufraga l'orribile, inguardabile, imbarazzante crapula del quotidiano «Il clandestino», parto mostruoso di un'informazione allo stremo. Il grottesco quotidiano messo in piedi da Gian Gaetano e Fabio Caso con i fratelli Luigi e Ambrogio Crespi era partito (malissimo) il 24 novembre scorso sotto la direzione di Pierlugi Diaco - il baby boomer degli anni novanta che ha abbandonato la nave appena prima del collasso
continua qui.

giovedì 17 giugno 2010

Da Giap - Wu Ming: "Quel che pensiamo sul caso Luttazzi"

Riporto da Giap questa riflessione in merito alle accuse di plagio rivolte al comico Daniele Luttazzi. Si tratta di una questione a mio avviso molto delicata che sta facendo discutere da un paio di giorni (qui un altro articolo apparso su l'Unità). Sul blog di Daniele è ben espressa la sua posizione sull'argomento. Personalmente apprezzo molto Luttazzi e continuerò a seguirlo come se nulla fosse.  Mi piacerebbe avere un parere sul plagio (cos'è plagio e cosa non lo è), non solo nella satira ma in generale. 
Qui il video





 
Daniele Luttazzi divorato dai suoi fan, che nel distruggerlo pèrdono una parte di se stessi. E’ il suicidio di una comunità, un rituale auto-cannibalistico. Anzi, no, un carnevale, nel senso bachtiniano. Quando descrisse la dinamica del carnevale, del mondo che si rovescia, Bachtin aveva in mente le purghe staliniane: un giorno eri membro del comitato centrale, potente, riverito; il giorno dopo eri processato da traditore e finivi morto o nel gulag. Il carnevale scarica tensioni, realizza temporanee catarsi, ma non contesta il funzionamento del potere, anzi, ne rafforza i meccanismi. Questo carnevale ci insegnerà qualcosa solo se non ci accontenteremo del lavacro, del sacrificio, di veder punito il reo.
Occorre precisare: reo non tanto di aver copiato, quanto di averlo fatto in modo ambiguo e di avere più volte eluso la questione, reagendo con vittimismo, spocchia e aggressività, conducendo una disgraziata “guerriglia” sul web e gridando a imprecisati complotti.
Dire che Luttazzi ha sbagliato non può essere la conclusione, ma l’apertura di un discorso più vasto. La malafede, parola usata da molti, non è spiegazione sufficiente. Non ci soddisfa dire che uno “è in malafede”, vorremmo sapere da cosa nasce la malafede, perché ha preso quella forma e non altre. Sono in gioco pulsioni profonde. Ipotizziamo che, all’inizio, Luttazzi intendesse omaggiare i suoi idoli comici, poi sia entrato in un vortice che ha cambiato la natura di quei “prestiti”. Luttazzi è a sua volta un fan, e i fan si riappropriano della cultura che amano. Solo che non ci fanno soldi sopra, e soprattutto non impugnano il copyright per impedire ad altri di fare quel che han fatto loro. Ecco il fulcro del biasimo. Che però, appunto, non basta. Chiediamoci cosa sia successo nella testa e nel cuore di un uomo, e ragioniamo sui rapporti tra artista e pubblico, ruolo del comico e comunità dei fan.
Luttazzi poteva fare coming out, aprirsi, rispondere davvero ai dubbi. Avrebbe sofferto, ma meno di quanto soffre ora. L’incapacità di gestire questa storia ha radici in certi “vizi” del Luttazzi blogger, limiti nell’uso della rete, e soprattutto problemi nel costruire un rapporto trasparente coi fan. Luttazzi ha percepito questi ultimi come una minaccia; a loro volta, essi si sono impuntati e dal fargli le pulci son passati a fargli pelo e contropelo, se non addirittura lo scalpo.
Di sicuro, se c’è stato un deficit di fiducia in questo frangente, significa che c’era già prima, latente ma operante. C’era una distanza colma di non-detti. Esisteva una comunità dei fan di Luttazzi? Forse no. Forse il singolo estimatore lo ammirava per conto proprio e qualcosa impediva il formarsi di rapporti orizzontali e reciproci. Forse, per paradosso, una comunità di (ex-)fan esiste soltanto ora: quando i fan hanno deciso di farsi comunità, è stato perché la figura di Luttazzi non li convinceva più e hanno deciso di contestarla.
Quanto peso ha, in questa vicenda, l’investimento che nell’Italia berlusconiana si fa su certe figure salvifiche? Negli ultimi anni i comici si sono trovati a fare supplenza dei leader dell’opposizione. Ciò è malsano, perché porta a vedere nel comico, se non un messia, almeno un incorruttibile paladino, senza le sane contraddizioni dei comuni mortali. Un comico ruba delle battute, viene “sgamato” e viene additato come nemico pubblico. Non esiste nulla del genere fuori d’Italia.
Ironia della sorte, Luttazzi è stato l’unicocomico a evidenziare questo male, ed è il primo a patirne le conseguenze. Pianga se stesso, ok, ma un rapporto sbagliato si costruisce in due. Per citare da un blog: “Come si fa a fare 4.000 km. in bici in venti giorni a 45 km. all’ora di media? Ovvio, si va dal farmacista. Qualcuno vorrebbe vedere un Tour de France corso a 30 km/h o gare olimpiche vinte con tempi due secondi sopra i record attuali? Certo che no. I fan esigono il doping, ma vogliono che il dopato sia ucciso. E’ lecito interrogarsi sul marciume di tale meccanismo? 
Se c’è qualcosa che ostacola l’interrogarsi, è il modo in cui la Rete si trasforma in “macchina ammazzacattivi”. Non c’entra l’intento iniziale di chi – giustamente! – ha fatto le pulci a Luttazzi. Parliamo di un dispositivo che una volta avviato opera in modo inesorabile. Il punto non è chi inizia, ma quanti proseguono e come. Lo vediamo sui social network: tardiva voglia di gridare in coro, di unirsi alla folla per attaccare chi è già attaccato, chi è già stato individuato come “folk devil”, e tutto ciò dalla comodità del proprio tinello, soli di fronte a uno schermo, senza vere assunzioni di responsabilità. Se la cosa era partita come dinamica di intelligenza collettiva, ora prosegue con una mentalità da crociata, resa dei conti finale, raddrizzamento dell’assetto del mondo. Assetto azzoppato dalla nequizia di… chi? Di un comico che ha millantato la paternità di battute! In rete c’è pure chi si rammarica per aver riso di quei jokes. Si fa il processo alle risate di ieri: se non si può più ridere oggi, vuol dire che non si doveva ridere nemmeno prima. “La miseria del presente ha valore retroattivo” (Karl Kraus).
Luttazzi è un artista complesso e poliedrico. Le sue mosse fanno incazzare, ma stiamo attenti a non dipingerlo come un mero parassita. Ha scritto preziosi saggi sulle regole della satira, condotto trasmissioni che hanno lasciato un segno, combattuto contro editti, ukase et similia. Comunque la si pensi, ha innovato il modo di fare satira in Italia, riscattato i primi libri di Woody Allen da pessime traduzioni risalenti agli anni ‘70 etc. A dispetto dei suoi errori, è stato indubbiamente un autore (auctor, colui che aumenta lo scibile).
Può ancora uscirne? Boh. Forse la sua è pulsione di morte. Ha chiesto alla Rete di essere sbranato, la Rete esaudisce il desiderio. E forse i desideri erano tre:
1) voglio far ridere;
2) voglio far ridere come gli americani;
3) voglio morire.
Forse l’ignominia è una forma di gloria. Forse è il finale che, inconsciamente, si era preparato da tempo.
Nessuno osi rallegrarsi di questo.
[Questo articolo è apparso su "L'Unità" del 13/06/2010. E' stato scritto grazie alle persone che hanno discusso con noi in questi giorni, su Twitter e nella "threagedia" messa in scena su Lipperatura.]

Un anno fa domani (Instar) - Sebastiano Mondadori

Un anno fa Domani
Sebastiano Mondadori

Si chiama Vittorio Congedo il protagonista del nuovo romanzo di Sebastiano Mondadori: una contraddizione in termini, un ossimoro, una serie di guai garantiti fin dal nome. La sua è la storia di un professionista, brillante suo malgrado, che a un certo punto si fa tragica, ma non troppo, densa di incontri quotidiani e sorprendenti. Un po' come potrebbe essere la vita se la guardassimo dritta in faccia. Da un anno è morta la moglie Teresa, il suo amore grande e assoluto, nonostante fosse esigente, imprevedibile, sempre "altrove". Ma proprio per questo molto seducente. Gli ha lasciato una inaudita quantità di quattrini, due figlie e la possibilità di dimenticarla subito. Vittorio, però, non ce la farà, continuando a convivere con il suo ossessionante fantasma, con una giovane ragazza, un'altra figlia e una serie di personaggi, davvero indimenticabili, che compongono la sua famiglia d'origine. Una famiglia simpaticamente sgangherata, proprio come lui. Con l'occhio che guarda un po' a Henry Miller, vitale a oltranza, estremo, e un po' a Italo Svevo, ironico e pietoso con gli inetti, l'autore ci trascina in una commedia sentimentale che ormai non può più essere lieve o glamour, ma piuttosto grottesca e beffarda. Come la vita.

Intervista a Sebastiano Mondadori: "Ognuno di noi si compromette a modo suo"

Oggi inserisco una rapida intervista a un amico di questo blog, Sebastiano Mondadori, attualmente in libreria con il romanzo Un anno fa domani (Instar libri) che sta ottenendo un successo davvero notevole e, aggiungo io , meritato (candidato al premio Strega e finalista al premio Viareggio).

I romanzi di Sebastiano sono: Gli anni incompiuti (Marsilio 2001), Sarai così bellissima (Marsilio 2002), Come Lara e Talita (Marsilio 2003), L'importanza delle pulizie. Commedia gialla con 25 disegni di Alessandro Trasciatti (Libratti 2008), Un anno fa domani (Instar Libri 2009).
Ha collaborato con Magazine del Corriere della Sera, Io Donna, l’Unità e Nuovi Argomenti. È stato consulente editoriale per conto di molte case editrici. Ha diretto la collana “Ricerca” per conto di Bruno Mondadori e la casa editrice Cardano . Ha fondato la scuola di scrittura creativa Barnabooth. Il suo sito è www.sebastianomondadori.it



Ciao Sebastiano, senza dilungarmi su quanto sia un piacere averti qui su questo piccolo spazio che è Blogolonelbuio (e sai bene che lo è), parto subito con la prima domanda (oramai quasi standard): Mi racconti il tuo esordio da scrittore? Come hai convinto il tuo primo editore a pubblicarti? Quanto tempo hai dovuto aspettare prima di riuscire a trovarne uno? Come sono state la critica e l'accoglienza del pubblico?

Il mio esordio è del 2001, a trentun anni, con Gli anni incompiuti, pubblicato per Marsilio. Il libro l’avevo finito di scrivere nell’estate del ’98. Dopo un anno e mezzo di rifiuti più o meno motivati ho trovato l’editore. Ho ancora in qualche cassetto la lettera accorata, piena di passione per la letteratura, con cui convinsi Cesare De Michelis. Il giorno dopo mi fece chiamare dalla segretaria e mi convocò in casa editrice a Venezia. È nato un bel rapporto, durato tre libri e tre anni. La critica è stata ottima, e grazie ai numerosi premi mi sono concesso una gran bella vacanza con mia moglie e la allora nostra unica figlia Camilla. Il pubblico invece è stato molto più tiepido. Del resto il romanzo di un esordiente di quasi cinquecento pagine incute legittimi sospetti.

Tu lavori anche in campo editoriale, collabori o hai collaborato in passato con riviste e case editrici, mi descriveresti come vedi lo scrittore esordiente tipico (pregi e difetti)? E come immagini quello ideale?

Io dico sempre che mi ha giovato molto l’insuccesso iniziale rispetto alle mie altissime aspettative, tanto come uomo quanto come scrittore. Il principale difetto di un’opera prima sta nell’esuberanza narcisistica dell’autore, che vuole mettere tutto, troppo di sé, spinto dall’urgenza di dimostrare la sua bravura e ancora incapace di distinguere tra ciò che interessa al lettore e ciò che ha bisogno di scrivere per ragioni personali. È un errore scrivere con la pretesa di essere capiti dagli altri, scrivere significa prima di tutto raccontare una storia. È dai fatti, e non dalle rivalse personali, che prende forma il racconto.
I pregi forse stanno nella freschezza, nella libertà un po’ anarchica e ingenua con cui si butta tutto indiscriminatamente sulla pagina. Per questo è importante avere accanto un buon editor in grado di consigliare, suggerire, in certi casi richiamare all’ordine. Io non l’ho avuto, e oggi mi domando come sarebbe diventato il mio primo romanzo con l’aiuto di un editor.
L’ideale non mi interessa, rimane imbrigliato nelle nostre teste. La scrittura – come la vita – è prima di tutto compromissione con la realtà, e ognuno di noi si compromette a modo suo.

Scrivere racconti su un blog può essere a tuo avviso un modo per attirare su di sé l'attenzione di qualcuno all'interno di una casa editrice e magari ottenere una pubblicazione?

Può essere una via. Il problema dei blog sta nel loro meccanismo per altri versi virtuoso di dare accesso indiscriminato a tutti senza criteri di giudizio. Ci vuole pazienza per pescare il pesce buono nel mare magnum dei deliri.

Tu hai un agente che ti rappresenta? Credi che sia una figura che possa servire? Se sì, quali sono secondo te le agenzie più affidabili?

Io sono rappresentato da Grandi&Associati, che è una delle migliori agenzie in Italia. Ho un eccellente rapporto con Stefano Tettamanti e non posso che consigliarlo, anche se giustamente lui e l’agenzia sono molto selettivi nella scelta dei loro autori. Per chi vuole esordire consiglio sempre di investire quei quattro-cinquecento euro per essere letti e giudicati da un’agenzia. Invece che buttare il doppio se non il triplo dei soldi in una pubblicazione finanziata, avranno un parere attendibile sul valore del loro testo e nel caso ne valga la pena anche dei consigli concreti. Ci sono bravissimi agenti come l’Ali (Agenzia Letteraria Internazionale), Santachiara, Vigevani, Bernabò, Nicolazzini, Kylie Doust e un’altra buona dozzina. Ci sono anche dei ciarlatani però, per cui è fondamentale informarsi sempre prima di rivolgersi a un’agenzia che promette più di quanto possa mantenere scucendovi un sacco di soldi.

Parlami un po' del tuo Un anno fa domani (Istar libri - candidato al premio Strega 2010). Quanta fatica costa scrivere un libro così?

Un libro costa sempre fatica. È il mestiere che ho scelto e so bene che esistono fatiche molto più gravose. Il romanzo nasce dall’idea di raccontare l’ossessione amorosa di un uomo, Vittorio Congedo, che non riesce a liberarsi del fantasma della moglie Teresa, morta un anno prima in un incidente stradale la cui dinamica diventa sempre meno chiara nello sviluppo delle vicende. La storia si svolge nell’arco di due giorni, nel corso dei quali Vittorio beve incessantemente, e culmina nel matrimonio della cugina nella villa di famiglia in Toscana alla vigilia e nel giorno della finale dei Mondiali di calcio del 2006, dove Vittorio deve fare i conti con il proprio passato, la seconda moglie ventenne, l’azienda di famiglia e una verità che non vuole accettare.

Be', la domanda finale oramai è d'obbligo... chi vince lo Strega?

Se dovessi scommettere, punterei sulla Avallone perché Sorrentino lo pagherebbero alla pari.

mercoledì 16 giugno 2010

Un racconto di Alessio Arena: Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia

Oggi ho scelto di pubblicare il racconto «Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia» di Alessio Arena. Si tratta di un racconto che reputo estremamente interessante sia per il modo con cui Alessio ha diligentemente costruito la storia, dosando con abilità le informazioni che ci vengono rivelate e indovinando tutti i tempi, sia per quanto riguarda il linguaggio scelto, su cui spesso si incespica ma che riveste di un alone di credibilità una trama ricca di elementi surreali. Lo sguardo al sociale vigoroso e amaro che emerge dal racconto fanno di Alessio, a mio semplice avviso, uno degli scrittori italiani più acuti della sua generazione. Un racconto che vi consiglio.



Le stelle, in fila indiana, poi si lavavano la faccia 

di Alessio Arena


Gli occhi ci fanno sempre male.
Verso sera cominciamo a sentire quel bruciore fastidioso, quel luccichio che gira intorno, come se dietro agli occhi avessimo due piccole cose che sono come due piccole stelle.
Quando non stiamo molto coperti vediamo quasi tutto quello che ci passa davanti.
Quello che vediamo quando ci mettono rivolti verso la strada, quando ci sistemano con il mento verso l'alto e ci tolgono gli occhiali, ci puliscono gli occhi con il glassex che usano pure per la vetrina.
Questa è la strada dove stiamo: le panchine e le borse che vanno e vengono.
Ogni mattina la luce è diversa, le insegne del Bar Puoti e della salumeria all'angolo si scoloriscono e fanno così e così come le luci di Natale.
Ogni giorno i balconi del primo e il secondo piano, la pattuglia dei carabinieri sul marciapiede, le coppie, i bambini che si sono persi.
Ogni pomeriggio le coppie di ragazzi, le coppie di ragazze, le coppie di anziani, le persone sole ben vestite, quelle che ci guardano con la discrezione del vicino abituato a considerare il look di questa piccola comitiva di manichini inespressivi.
A noi gli occhi ci fanno sempre male perché vediamo tutto quello che passa.
Qualcuno a volte ci guarda dentro agli occhi, come per vedere il prezzo di quello che sta per comprare.
Oppure Don Raimondo il pazzo che dorme sotto alla galleria con i suoi due cani a volte si ferma e ci guarda fisso, come se stesse per dirci qualcosa. Ma non dice mai niente.
Qualche volta forse si è accorto che tremavamo, l'aria condizionata del negozio ci uccide più del glassex dentro agli occhi, e a volte la pittura che abbiamo sulla bocca diventa più scura, non dobbiamo mai dare a vedere com'è difficile restare immobili dentro a questa vetrina, va a sapere fino a quando.
A volte ci cambiano il posto, lo stesso venditore che ci ha scelti nel magazzino di Arcangelo Roccocò ci vende a un altro negozio, spesso per qualche difetto, e perché è sicuramente più facile contrattare uno scambio con qualche commerciante della zona, piuttosto che chiamare mille volte al numero di Arcangelo, il nostro adorabile costruttore, che nessuno di noi ricorda di avere mai visto.
Tutti i manichini però a Arcangelo gli vogliamo bene.
Gli vogliamo bene perché ci fa tutti quanti magri, belli asciutti, alle donne ci mette dei seni duri e ben equilibrati, i fianchi non molto larghi; agli uomini ci scolpisce i pettorali come i nuotatori, ci fa questa mascella squadrata come gli attori di Hollywood.
Tutti noi a Arcangelo gli volevamo bene prima che uscissimo dal suo magazzino, quando non avevamo gli occhi.
Poi ci siamo trovati in quel camion sull'uscita dell'autostrada per Castellammare, uno addosso all'altro, uno incastrato con l'altro come ci piace restare la maggior parte del tempo, non vedevamo ancora niente, ma pensavamo che era così che dovesse andare.
Poi ci hanno divisi, ci hanno fatto scendere, e ci hanno staccati, molti di noi sono andati sul Vomero, nei negozi di Via Scarlatti, alcuni dentro alla Maddalena, dove i cinesi ci hanno messo quei camici e le mascherine, la divisa dei pompieri, e i cappelli dello chef, molti altri invece ci hanno portati al centro, e nella Riviera di Chiaia, ci hanno messo mani dappertutto, spogliati e rivestiti con taglie diverse, ci hanno infilzati con gli aghi che sostengono il cartellino del prezzo, soprattutto a quelli della merceria di Piazza Dante, dove ci hanno addirittura svitato gambe e braccia, per esporle singolarmente con quelle calze che puzzano di naftalina.
Arcangelo Roccocò non si è fatto mai vedere, e nessuno di noi sa a chi chiedere aiuto.
Siamo sempre di più, dal magazzino di Castellammare arriviamo sempre in molti a dividerci per tutta Napoli, e adesso pare che Arcangelo continui a sfornarci con diverse abilità e funzioni.
Alcuni siamo manichini seduti e obbedienti, manichini da studio, manichini per uso domestico, altri manichini da compagnia per persone sole, manichini che si prendono cura degli anziani, e infine ci sono i manichini addormentati.
Eravamo in due o tre, in quella vetrina della Eminflex sul corso Malta, una vetrina allestita con uno splendido enorme materasso ergonomico terapeutico sfoderabile a sacco con cerniera divisibile su quattro lati.
Così, dormendo davanti agli occhi di tutti, abbiamo iniziato anche a sognare.
Arcangelo Roccocò aveva i capelli quasi biondi, lunghi, come una madonna, ma la barba ispida, rossiccia, il naso che non finiva mai e due lunghi aghi negli occhi, due piccoli pezzi di carta appesi, due prezzi scritti sopra che non facevano nessuna somma.
Arcangelo Roccocò ci disse che ci avrebbe abbandonati, che sarebbe scappato da Napoli per salvarsi la vita.
E ci svelò questo segreto: l'asteco chiove e 'a fenesta scorre.
Da quel giorno gli occhi ci fanno sempre più male, tanto che all'improvviso, una mattina, abbiamo visto passare un manichino per la nostra strada.
Lo abbiamo visto obbedire alle pesanti norme della gravità umana, il passo disinvolto, vestito come se egli stesso avesse scelto ogni capo, ogni accessorio.
Abbiamo visto questo manichino prendere appuntamento con una ragazza magra, dai seni duri e ben equilibrati, così che erano già in due.
E dopo tre, quattro, cinque, sei, dodici, ventinove, i manichini sono usciti da qualsiasi posto, hanno iniziato a correre per strada, a entrare e uscire dai negozi pieni di borse, a cadere a terra ogni tanto, ma a rimettersi a posto subito dopo, a parlare col telefonino, a scrivere un messaggio, aggiustandosi la cintura o toccandosi il pacco, sopra ai motorini a due a tre, mamma padre e figlio, senza casco, scendevano da sopra ai quartiere spagnoli con le granite di orzata.
Adesso è Ferragosto.
In tutta la città Ferragosto è un boato, uno scricchiolio di manichini abbrustoliti al sole, la gente è sparita, tutta la gente di Napoli a Ferragosto sta a Ischia, o a Baia Domizia, o noi che ne sappiamo.
Non ci sta nessuno adesso, ma anche quelli che c'erano prima sembrava che già stassero sparendo a poco a poco, fuori al Banco di Napoli di Via Roma non abbiamo mai più visto una fila, e le guardie giurate stavano lì a fumare cento sigarette con gli occhi a mezz'asta, il traffico di Santa Teresa si era fatto più calmo all'improvviso, e i marocchini che vendevano i fazzoletti al semaforo avevano lasciato un cartello dove stava la loro sedia, con scritto torno subito.
Era come se le persone avessero cominciato ad avere paura di noi, da quel giorno che sul Corso di Secondigliano, all'incrocio con il supermercato nuovo, un manichino aveva letteralmente svitato la testa ad un altro che gli stava rubando la macchina nel parecheggio.
Gliel'aveva svitata la testa e poi, simulando una specie di respiro, un urlo inumano, legnoso, compatto, l'aveva lanciata così lontano, e così forte, che si racconta l'avessero vista rotolare fino allo sbocco della Doganella, precipitata alle porte del vecchio cimitero, tanto da creare un solco attorno a sé, la prima fossa di quello che sarebbe diventato il cimitero dei manichini.
Poi è iniziata la piccola guerra.
I manichini si sono divisi tra Secondigliano, San Giovanni a Teduccio, Sanità. Ogni uno si è fatto responsabile del proprio spazio che adesso non è più una vetrina di un negozio.
Adesso è Ferragosto, ci sono stati due casi di annegamento di manichini al Bagno Elena di Posillipo, una rissa fuori allo Chalet Ciro di Mergellina, e un concerto di Gigi d'Alessio allo stadio San Paolo solo per manichini. Tutto esaurito.
Quei due o tre che stavamo nella vetrina del Corso Malta a dormire ce la passiamo male con questo caldo. Noi non siamo le statue del Museo Nazionale, con questo caldo abbiamo la sensazione di prender fuoco da un momento all'altro.
Gli occhi ci fanno sempre male.
Verso sera cominciamo a sentire quel bruciore fastidioso, quel luccichio che gira intorno, come se dietro agli occhi avessimo due piccole cose che sono come due piccole stelle.
Poi il sogno di Arcangelo Roccocò ci viene a cercare.
Arcangelo Roccocò sta seduto su un trono in mezzo alle nuvole, con una barba come Mosè, o il profeta Isaia.
Siamo prima noi a parlargli, a chiedergli in che cosa abbiamo sbagliato, perché non tutti i manichini siamo uguali, e vediamo allo stesso modo, e ci svitiamo l'un l'altro, ci siamo presi ognuno la sua casa, il suo quartiere, e ogni tanto facciamo trovare qualche testa di manichino in mezzo alla strada, vicino a un cassonetto, sopra ai banchi del mercato della frutta, all'ora di punta.
Lui allora ci svela quest'altro segreto: 'o mellone è 'sciuto janco e rumpe 'o cazzo a 'o verdummaro.
Non possiamo chiedere a Arcangelo Roccocò che ci dica altro, che ci spieghi meglio cosa fare.
Ma forse, più in là, ci convinceremo che anche lui, un giorno, sia stato un manichino.
Questa è la strada dove stiamo: una notte che dura sempre poco, a Ferragosto, dentro e fuori le vetrine della città, e un sacco di stelle, quelle sí che ci fanno male agli occhi, le stelle, in fila indiana, che poi si lavano la faccia.


Alessio Arena: Nato a Napoli nel 1984. E' scrittore e cantante. Suoi racconti sono apparsi su diverse antologie e sulle riviste Linus, 'Tina, Colla, Calle 20 oltre che su Nazione Indiana. È scelto per far parte dei sette narratori italiani nati negli anni ottanta nella sezione monografica del numero 41 di Nuovi Argomenti intitolato “Non ancora trentenni”. Il suo primo romanzo è  L’infanzia delle cose (Manni, 2009), premio Giuseppe Giusti Opera Prima. Nel 2009 partecipa alla quarta edizione di Esor-dire (nell’ambito della manifestazione Scrittorincittà a Cuneo), dove vince il premio del pubblico.
Attualmente vive in Spagna, dove scrive teatro e dove lavora al suo prossimo libro, il primo in lingua spagnola, Todos los jueves de tu boca.
La sua email è  alessioarena@hotmail.com
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