giovedì 11 aprile 2013

“L'amore degli insorti” di Stefano Tassinari


Il libro di cui parliamo stavolta è “L'amore degli insorti” di Stefano Tassinari. Il motivo per cui lo facciamo – a otto anni di distanza dalla sua pubblicazione e a quasi un anno dalla morte dell'autore – è il fatto che, a breve, questo libro (originariamente edito da Marco Tropea Editore) sarà ripubblicato per le Edizioni Alegre.
Tuttavia non è facile parlarne. Nella quarta di copertina c'è una frase di Massimo Carlotto, ripresa da “il manifesto”, che fa così: “Dopo aver letto i romanzi di Stefano Tassinari si ha voglia di pensare e discutere. Di memorie e di utopia”. Sì, perché “L'amore degli insorti” è una riflessione ampia sugli anni '70. Anni di attivismo e di politica. Due cose che, in alcuni casi, sono stati sinonimo di lotta armata. Ed è proprio su quest'ultima che Tassinari concentra il suo racconto. Attraverso la vita di Paolo Emilio Calvesi, architetto apprezzato oggi, ma con un passato ingombrante, nascosto a tutti, persino a sua moglie. Un passato che torna, all'improvviso, attraverso lettere, foto, oggetti che una certa Sonia di volta in volta gli spedisce. Tutte cose che parlano a quell'epoca, quando Paolo aveva intrapreso – come molti altri giovani – la strada della lotta armata, dalla quale era uscito scampando a condanne e carcere. Ed è proprio la paura di questo passato, per decenni cancellato, la paura di finire in carcere dopo così tanti anni, a gettarlo nel panico. Paolo si estranea da tutto, dal suo lavoro, dalla sua famiglia e si getta nei ricordi di quegli anni. Gli incontri, gli amori, le riflessioni. Attraversa la sua vita, tornando anche a Roma, la città dove era nato (anche politicamente) e dalla quale, nella sua seconda vita da professionista, si era sempre tenuto alla larga.
Ed è proprio nella sua riflessione di quegli anni che sta il fulcro di questo libro. In un periodo storico dove si può tornare a discutere anche del fascismo, accennare al discorso della lotta armata senza partire da una condanna senza sé e senza ma, significa avere contro il dito puntato di tutti. “Chiamarci terroristi va bene a tutti, anche se noi non abbiamo mai colpito alla cieca, né ammazzato passanti, turisti, impiegati di banca, studenti innamorati. Tra terrorismo e lotta armata c'è una differenza abissale, ma a ribadirla oggi si rischia il linciaggio” (p. 98).
Eppure questo libro non è di certo un manifesto della lotta armata. Qui si torna alla frase di Carlotto. Finito di leggerlo c'è il bisogno di fermarsi a parlare di quegli anni. Si ha voglia di parlare di quello che si racconta e che rappresenta un pezzo della nostra storia, raccontato da chi quella storia l’ha vissuta. Una storia fatta di scelte nette, che non ammettono vie di mezzo né ripensamenti. C'è il bisogno, la voglia, di immergersi ed immedesimarsi in quelle scelte. Calarsi dentro quei sogni che assomigliavano così tanto a dolci utopie da inseguire. Chiedersi se fosse quello il modo, la strada giusta, per raggiungerle.
Perché quello che ci fu in quegli anni fu essenzialmente questo: lottare per raggiungere il proprio orizzonte. E “L'amore degli insorti” di questo tentativo parla. Senza partire da giudizi né condanne. Merce rara di questi tempi ma, soprattutto, unico modo per parlare – laicamente – di una fase così complessa delle nostre vite. 

mercoledì 14 novembre 2012

Eduardo Savarese "Non passare per il sangue"



Iniziando “Non passare per il sangue” viene subito fuori una domanda (soprattutto se già si è letto qualcosa della collezione Sabot/Age): ma allora, questa collana, cos'è?
Vengono infatti meno un po' di convinzioni. I romanzi precedentemente pubblicati si muovevano tutti in un sentiero ben tracciato, noir, pulp, hard boiled. Tutti genere tra loro affini e correlati. Questo di Eduardo Savarese invece esula completamente da ognuno di questi generi.
Eppure non si ha il tempo di rimanere stupiti né tantomeno perplessi che si è subito catapultati nella storia.
Il romanzo tratta un tema difficile, complesso, come è l'amore tra due uomini, due ragazzi, Luca e Marcello. Il che viene reso anche più difficile dallo scontro tra due mondi e due generazioni così inconciliabili, quella di Luca e di Agar. Saranno loro tre a dare forma a questo racconto.
I due ragazzi si conoscono nell'esercito, del quale entrambi fanno parte. Insieme partono per l'Afghanistan per partecipare a quella missione. Durante un pattugliamento con altri soldati stranieri, cui volontariamente aveva voluto partecipare, Marcello viene rapito e poi ucciso. Il suo corpo non sarà mai ritrovato. Il dolore è troppo forte da sopportare per Luca che viene rimandato in Italia e a cui viene affidato il compito di riconsegnare alla famiglia di Marcello la valigia dell'ufficiale con gli effetti personali.
Così il giovane si reca a Vico Equense dove incontro Agar, la yayà – nonna – di Marcello, donna mai vista ma conosciuta attraverso i racconti del suo amante.
E' con lei che Luca ripercorrerà il ricordo e il racconto di Marcello.
Gli oggetti contenuti nella valigetta saranno solo la scusa per Agar di raccontare il suo Marcello. Per Luca di ascoltare cose che a volte suonano nuove alle suo orecchie, altre invece conosciute sotto punti di vista diversi. Per lui inizia una guerra aperta contro quella nonna che ha sempre capito dell'omosessualità del suo unico nipote, osteggiandola, perché non concepibile per lei “non passare per il sangue”. Per lei che, nonostante fosse cresciuta con un solo polmone, aveva lottato per avere dei figli. Per “passare per il sangue”.
Eppure quegli scontri aprono una breccia nelle barriere di quella anziana donna che, dopo l'ennesimo litigio con Sofia, la mamma di Marcello, tenuta all'oscuro della presenza di Luca a Vico Equense, si è rifugiata nella sua Creta. E' qui che Agar riprende in mano un cofanetto in cui tiene tutte le lettere scambiate con Antonio. Antonio era il marito della donna, conosciuto proprio a Creta dove lui, medico ufficiale del Regio Esercito, era andato durante l'occupazione nazifascista dell'isola. Immediatamente la yayà sente la necessità di condividere quelle lettere, tenute nascoste a tutti, proprio con Luca. E non dovrà attendere molto per incontrare il ragazzo. Il giovane ufficiale infatti, ritornato in Afghanistan, si trova coinvolto in un agguato talebano, durante il quale mostra esitazione nell'uccidere un nemico. La cosa gli costa il congedo forzato e il nuovo rientro in Italia. Di lì il passo verso Agar (e in questo modo verso Marcello) è breve.
Ancora una volta Agar e Luca si ritrovano assieme. Ancora una volta ricomincia il loro scontro. Ma Agar non è più quella di qualche mese prima a Vico Equense. In lei qualcosa sta cambiando. La sua strafottenza lascia il posto alla malinconia. I racconti sulla sua vita, le sue sofferenze, si fanno dolorosi. Tutto riemerge. E sarà in qualche modo Luca ad aiutarla. «”Non ho mai amato nessuno come Marcello. E credo che non sarà facile innamorarmi ancora così. Ma devo metterlo da parte. E la cosa incredibile è che lui mi sta aiutando, mi sta proprio mettendo le molliche sulla strada, come è successo a Pollicino”. Prende dalla tasca il biglietto con il cellulare di Michalis. “Metti da parte anche tu i tuoi morti, yayà”».
Così prima di salutarsi i due si recano al monastero di Faneromeni. Lì Agar fa leggere a Luca una lettera, l'ultima che scrisse ad Antonio. Una lettera che contraddice molto quel “passare per il sangue” che lei stessa si era trovata a predicare.
Così i due insieme strappano quella lettera, mettendo da parte tutte quelle morti, insieme alle differenze, le incomprensioni, gli scontri, le accuse. I due mondi così distanti di Agar e Luca si riscoprono più vicini che mai.

lunedì 5 novembre 2012

Colomba Rossi e la collana Sabot/Age (Edizioni e/o)

Dopo aver parlato la volta scorsa di Una brutta storia, romanzo d'esordio di Piergiorgio Pulixi (E/O), ho pensato bene questa volta di intervistare direttamente Colomba Rossi, per farci dire qualcosa di più sulla collana Sabot/Age da lei diretta (e curata da Massimo Carlotto). 


Ciao Colomba e grazie per il tempo che stai concedendo a Blogolo. Per prima cosa vorrei chiederti di parlarmi un po’ di Sabot/Age, come è nata l’idea e come hai convinto E/O a investire in una direzione per alcuni versi inusuale rispetto al suo catalogo (con alcune eccezioni, ovviamente).

Le edizioni E/O si sono sempre distinte per una spiccata curiosità nei confronti del "nuovo" e hanno aderito immediatamente alla nostra proposta di una collana di contenuti e non di genere che è stata la suggestione di fondo che ci ha portato a sviluppare il progetto.

Come mai la scelta di estendere la linea editoriale anche al genere pulp, un genere forse un po’ di nicchia, almeno rispetto al classico noir? 

A noi interessano la qualità della scrittura e le storie, soprattutto quelle frutto di un'inchiesta o negate o poco raccontate e volutamente facciamo poca attenzione al genere. Matteo Strukul ci ha proposto un romanzo che raccontava finalmente la mafia cinese in veneto, argomento scomparso da molti anni dalle pagine dei giornali. Ci è piaciuto molto il personaggio e abbiamo colto in Strukul delle grandi potenzialità sulla serialità di Mila. Rispetto al pulp, siamo contenti che ci sia un nostro autore che investa le sue energie a farlo tornare in auge con tanta passione e bravura.

Finora sono stati sfornati romanzi di altissima qualità, come avviene la selezione? Chi se ne occupa? Dove ricercate gli autori? 
Alcuni autori hanno scelto di scrivere appositamente per la collana come Roberto Riccardi (il 24 ottobre uscirà il suo Undercover). Altri li abbiamo conosciuti attraverso i manoscritti. La selezione avviene attraverso la lettura delle sinossi per capire se la trama rientra nei confini di Sabot/Age e poi se ci convince attraverso
alcune letture incrociate. Ogni romanzo pubblicato è frutto di lunghi dibattiti e riflessioni.

Lavorate anche con agenzie letterarie? Valutate manoscritti inviati spontaneamente?

Anche. Abbiamo buoni rapporti con diverse agenzie e non riusciamo a resiste alla tentazione di dare un'occhiata alle sinossi che accompagnano i manoscritti. 

Come stanno andando critica e vendite e cosa ne pensi della concorrenza dei libri a 9.90? 
Noi abbiamo deciso di seguire una strada tracciata da tempo dalle Edizioni e/o e a quella ci atteniamo anche in fatto valutazioni sui prezzi di copertina. Noi non viviamo i libri a 9,90 come concorrenti. La nostra è una proposta precisa e critica e vendite ci stanno incoraggiando a proseguire.
Ti va di parlarmi un po’ delle prossime uscite e del titolo che ti ha dato fino ad ora maggiori soddisfazioni? 

Di Undercover ho già detto qualcosa ma voglio aggiungere che si tratta di un romanzo ambientato tra Calabria e Colombia e che racconta la straordinaria esperienza di un agente che opera sotto copertura con impressionante realismo. Non passare per il sangue è un romanzo letterario, completamente fuori dal genere, finalista e segnalato dalla giuria al Premio Calvino 2010. Scritto su più livelli narrativi, è una storia di memoria, sentimenti, differenze e contrasti culturali.

martedì 18 settembre 2012

Recensione di Una brutta storia (di Piergiorgio Pulixi)



Roba davvero forte “Una brutta storia”. Se il buongiorno si vede dal mattino, quello di Piergiorgio Pulixi è un nome che dovremmo tener d’occhio con grande attenzione ancora per diverso tempo.
La collana Sabot/Age, curata da Massimo Carlotto e Colomba Rossi, ci ha abituato ad opere di assoluto valore. Tuttavia, almeno per chi scrive, questo libro è in assoluto il migliore tra quelli pubblicati finora.
Un noir di grande spessore che non rinuncia alla mescolanza con altri generi, in primis hard boiled e pulp. Siamo in una grande città del nord. Una banda di poliziotti, guidata da Biagio Mazzeo, controlla il traffico di droga e tutto quello che gli ruota attorno. Per farlo utilizzano il ricatto e, quando serve, l’omicidio. Ma anche e soprattutto le loro divise. La gran parte del branco fa capo infatti alla sezione narcotici, guidata proprio da Mazzeo. Durante una rapina ad un supermercato un ceceno viene ucciso da un ragazzino nigeriano. La vittima è Goran Ivankov, fratello di Sergej Ivankov, il più importante boss della mafia cecena che giura vendetta. Trova i mandanti della rapina in Biagio e la sua banda e, ritenendoli responsabili della morte del fratello, scatena contro di loro una guerra feroce e crudele. Una guerra senza esclusione di colpi cui il branco di poliziotti, alle prese con il colpo che dovrebbe cambiare per sempre le loro vite, non si tira indietro, rispondendo senza pietà colpo su colpo. Nel mezzo di questa lotta c’è però anche l’amicizia e l’amore, l’unica cosa che può rendere debole un uomo e portarlo alla morte.
Uno dei due contendenti alla fine ne esce vincitore. Ma vincere una battaglia come sempre non significa aver vinto la guerra. Così è un nuovo omicidio a riaprire la partita contro un nuovo nemico.
Un romanzo di oltre 400 pagine, con una trama fitta, coerente e scorrevole. Un modo di scrivere che pare ispirarsi più ai maestri del genere d’oltreoceano (Landsdale, Ellroy, Don Winsolow), soprattutto nella parte iniziale quando i personaggi vengono presentati, rispetto ai riferimenti letterari in stile mediterraneo.
Tre anni ci sono voluti per scriverlo questo libro. Molto meno dovremmo aspettare per il sequal. Pulixi infatti è già al lavoro. Il nuovo romanzo sarà con ogni probabilità in libreria nel 2013.

mercoledì 1 agosto 2012

Libreriamo intervista Blogolo nel Buio

Di recente ho scambiato due chiacchiere con gli amici di Libreriamo.itNel ringraziarli per la curiosità mostrata verso Blogolo vi ripropongo qui parte dell'intervista (che potrete leggere per intero sul loro portale). Abbiamo parlato di editoria, del Klit, di SugarPulp e di un paio di altre cose.

Il blog letterario Blogolo nel Buio parla di sé, del suo lavoro e della situazione dell’editoria italiana, proponendo le sue soluzioni per superare la crisi
 
Per diffondere l’amore per la cultura e la lettura è fondamentale creare un incontro, un contatto e un confronto tra le persone intorno al libro. È quanto afferma Blogolo nel Buio, blog letterario geloso dell’anonimato dei suoi redattori, che parla di sé in un’intervista in cui racconta della sua attività e dei problemi che affliggono l’editoria italiana.
 
Come nasce Blogolo? Quali sono i suoi obiettivi, i suoi interessi, e in cosa consiste la sua attività?
 
Le idee di base sono diverse: fare da ponte tra autori e case editrici; regalare un po' di informazioni e curiosità utili a chi vorrebbe fare dell'editoria, in un modo o nell'altro, il proprio lavoro; ingannare il tempo; combattere la noia; non pensare alla morte.  Scrivo quando ho tempo, voglia e la salute me lo permette (ultimamente non sono stato granché bene), o quando c'è qualcosa di assolutamente importante da dire (evento straordinario che capita di rado). Detto questo, grazie all'aiuto di alcuni consulenti e lettori professionisti (molti dei quali lavorano presso importanti editori, altri invece presso editori seri) ho creato un comitato di lettura testi inediti che porterà a breve alla pubblicazione di un paio titoli interessanti (titoli che sapranno parlare da sé, senza l'aiuto di Blogolo). 
 
Perché Blogolo sceglie l’anonimato dei suoi redattori?
 
L'anonimato è una componente essenziale del blog per diverse ragioni. Per prima cosa in questo modo riesco ogni volta a strutturare un confronto aperto e alla pari con gli amici, anche quelli più timidi, che mi seguono evitando il disagio che a volte i palazzi dell'editoria creano. Tramite l'anonimato, inoltre, è possibile mettere al centro i contenuti del blog eliminando tutta una serie di preconcetti, permettendo così confronti più aperti e "veri". C'è da aggiungere che si tratta anche di una piccola provocazione che vorrebbe evidenziare come, in una società basata sull'apparenza, si possa comunque costruire qualcosa senza apparire, senza essere assolutamente il centro di questo qualcosa. Direi infine che si tratta anche di un modo come un altro per tenere a bada il mio ego, un piccolo esercizio di meditazione zen.
 
Secondo i dati ISTAT, in Italia si legge poco rispetto agli altri Paesi europei: secondo Blogolo da dove deriva questo problema? Quali strategie potrebbero aiutare a promuovere una cultura del libro in Italia?

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mercoledì 25 luglio 2012

Blogolo consiglia Massimo Carlotto: Respiro Corto

Se qualcuno volesse capire i cambiamenti del nostro tempo, in campo criminale e, di conseguenza, politico ed economico, avremmo pronta una lista di romanzi noir da leggere.
Tra questi va di certo incluso l’ultimo libro di Massimo Carlotto, Respiro Corto (Einaudi, pp. 201, 17 €). 
Carlotto con questo romanzo si tuffa alla scoperta di un nuovo mondo criminale, meno attaccato al territorio, più al mondo finanziario. Quattro giovani brillanti e laureati di diverse nazionalità si conoscono alla facoltà di economia di Leeds e da lì danno inizio al loro progetto criminale. Una criminalità senza più frontiere né singoli mercati. Narcotraffico, scorie radioattive, traffico di organi, corruzione politica e alta finanza, sono le attività di quelli che all’apparenza potrebbero sembrare dei giovani perbene con il pallino del successo e dei soldi, come tanti ce ne sono. Ma dietro alle apparenze – e alle attività legali – si nasconde il volto di chi non si fa scrupoli pur di raggiungere il vertice del mondo del crimine. Marsiglia fa da porto e da porta per questi progetti.
Detto ciò però va anche ammesso che, probabilmente, questo non è il libro di Massimo Carlotto meglio riuscito.
Per chi è abituato alla sua opera, nell’arrivare alla fine di “Respiro Corto” si avverte la mancanza di qualcosa. Ad iniziare dai personaggi. E’ vero che per la prima volta Carlotto ha cambiato il suo modo di raccontare, abbandonando i suoi antieroi romantici come l’Alligatore o Pellegrini, per lanciarsi in un romanzo a più voci. Però è proprio agli stessi personaggi che sembra mancare qualcosa. Sono poco caratterizzati e alla fine non lasciano nulla di loro, nel bene e nel male. Anche molti dei traffici trattati avrebbero potuto avere uno sviluppo maggiore. Forse per le attività criminali raccontate sarebbero servite molto più delle 200 pagine di cui il libro è composto. Sul traffico dei rifiuti ormai inizia ad esserci una letteratura molto completa (anche se in forma di dossier e non di romanzi); sul traffico di organi è invece decisamente illuminante “Morte in lista d’attesa” di Veit Heinichen (Edizioni e/o).
Nonostante questo non possiamo che consigliare la lettura di “Respiro Corto” che resta senza dubbio un’opera prima per l’apertura ai nuovi orizzonti della criminalità transnazionale.

martedì 26 giugno 2012

Blogolo consiglia: Élmer Mendoza, Il Cartello del Pacifico (La Nuova Frontiera)

Che negli ultimi tempi il noir, da genere narrativo da molti ritenuto secondario, si sia imposto invece come elemento centrale e immancabile della letteratura, è sotto gli occhi di molti. Un ritrovato interesse dettato anche, e forse soprattutto, dal fatto che sempre più dietro e dentro uno di questi romanzi è possibile rintracciare quelle inchieste, quegli approfondimenti, quei dossier, che una volta erano appannaggio del giornalismo ma che, negli ultimi anni, sempre meno – senza volerne qui indagare i motivi – trovano spazio nella stampa.
Non stupisce quindi che all’interno del vasto mondo del noir stiano emergendo delle aree specifiche. Prima fra tutti, per portata, rapporti tra criminalità e politica, economia illegale ed economia reale, quella del narcos-noir.
Ed è a questo genere (definirlo sottogenere sarebbe offensivo per la qualità delle opere) che appartiene “Il cartello del Pacifico”, ultimo romanzo di Élmer Mendoza, pubblicato in Italia dalla casa editrice “la Nuova frontiera”.
Come il precedente “Proiettili d’argento”, il protagonista del romanzo è Edgar “El Zurdo” Mendieta, mentre lo sfondo è sempre lo stesso: la guerra che si combatte ogni giorno nelle strade del Messico tra i cartelli del narcotraffico e il governo. Una guerra più di parole che di intenti reali, in un paese dove la corruzione è all’ordine del giorno e arriva fino ai vertici della gerarchia sociale. Lo scoprirà il macino (El Zurdo) Mendieta, quando proverà ad indagare sulla morte di Mayra, ballerina di un club, che il detective aveva conosciuto – e di cui si era innamorato – qualche tempo prima. I sospettati sono uomini facoltosi, chi pronto per un’ascesa politica, chi per quella criminale. L’assassinio di Mayra, in tal senso, serve a tessere un filo conduttore fra questi due mondi che, mai come in Messico, sembrano così intricati da rendersi indistinguibili.
Un romanzo che Blogolo consiglia per una serie di motivi: per capire cosa stia succedendo in Messico dove, dal 2006 ad oggi, circa 60mila persone sono state assassinate nella guerra tra Cartelli del narcotraffico; perché Mendieta è un protagonista complesso, costruito con grande sapienza, quasi da rendere deludente il pensiero che sia solo opera della fantasia dello scrittore; perché ci sentiamo di sottolineare quanto detto da Giancarlo De Cataldo sul Corriere della Sera, frase riportata in quarta di copertina: «Mendoza resta. Resta perché, oltre a raccontare la crisi della sua democrazia, lo fa con una scrittura nervosa, suggestiva, essenziale, nei tratti migliore spietata».
Due ultime menzioni. La prima è per “la Nuova frontiera”, casa editrice che fonda buona parte della sua missione editoriale sulla letteratura sudamericana e chicana, offrendo al mercato italiano opere di valore assoluto.
La seconda menzione – che in buona parte riguarda la stessa casa editrice – va al traduttore de “Il cartello del Pacifico”, Pino Cacucci. Spesso in fase di traduzione un romanzo perde qualcosa, se non dal punto di vista della scrittura, quanto meno da quello dell’immaginario. Da questo punto di vista Cacucci, grande conoscitore del Messico, riesce a restituire alla scrittura, anche dopo la traduzione, quei colori e sapori che i romanzi possiedono.


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